martedì 24 novembre 2015

Musica per il 25 novembre, la giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

Molto si parla di argomenti spesso scomodi, definiti tali solo per il semplice fatto che non ci si interessa a sufficienza delle cose, perché non interessano affatto o soltanto perché non essendo capitati a noi allora non ci toccano da vicino, in prima persona, restando così degli avvenimenti che continueranno a essere per sempre lontani da noi.

La verità è che, per quanto ognuno di noi viva una realtà che lo coinvolge come singolo, tutto ciò che accade nel mondo non ci è estraneo, anzi, indirettamente o meno, ne siamo sfiorati, con consapevolezza o in modo del tutto inconsapevole.

Il venticinque novembre è la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne; questa data è stata scelta dalle Nazioni Unite per ricordare il brutale assassinio delle tre sorelle Mirabal, nel 1960, un omicidio che fu architettato di modo che sembrasse un incidente.
Ma così non fu.
Le sorelle vennero considerate rivoluzionarie perché s'impegnarono per contrastare il regime di Rafael Leónidas Trujillo e il suo regime dittatoriale sotto cui la Repubblica Dominicana, per più di trent'anni, chinò il capo vivendo nell'arretratezza e nel caos. 


Le sorelle Mirabal, chiamate anche Le farfalle: al loro ricordo sono dedicati il libro e il film omonimi Il tempo delle farfalle. 

La violenza di genere contro le donne è la violenza diretta contro una donna in quanto tale o che colpisce le donne in modo sproporzionato.
Nessuno nega che non esista violenza contro gli uomini, che sia chiaro, ma non si può e deve negare che le donne sono le vittime maggioritarie di violenza.

Il Comitato per l'eliminazione della discriminazione contro le donne identifica la violenza contro le donne come ogni atto di violenza fondata sul genere che provochi o possa provocare danno fisico, sessuale, psicologico o una sofferenza alle donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia in pubblico che nella vita privata.

Gli atti di violenza di genere possono includere, tra gli altri, la violenza domestica, l'abuso sessuale, lo stupro, le molestie sessuali, la tratta delle donne, la prostituzione forzata.
Quando si parla di violenza non si deve pensare dunque solo a lividi, percosse, sangue, stupri; non si tratta solo di questo: la violenza ha più facce, alcune più nascoste e sibilline di altre, per questo anche più pericolose, perché vengono negate come tali.

Io per prima, Barbara Zimotti – non c'è bisogno che io nasconda come mi chiamo, è una cosa che ho sempre detto – sono stata vittima di molestie. Fortunatamente non sono state così gravi, ma avrebbero potuto esserlo.
Mi rendo conto di essere molto fortunata rispetto a tante altre donne e mi permetto stavolta di usare la mia voce e una mia passione per dire cose che sento importanti, che sento giuste.

Ho detto più volte nella mia vita (spesso ripetendolo fino allo spasmo) che una delle mie massime è la sensibilizzazione passa per l'informazione e aggiungo che l'informazione può avvalersi dell'arte.
Mi riferisco a tutti i tipi di arte e questa volta ho lasciato da parte le lettere per lasciare spazio alla musica.
La musica ha il vantaggio di essere a mio dire più immediata e coinvolgente, concentrando spesso molto da dire in formato tascabile a livello di tempo (per così dire rispetto a un libro... è più facile ascoltare una canzone che leggere un libro voluminoso) e, come le poesie, le parole di qualcuno possono diventare le parole di tutti, estendendo un messaggio quanto più possibile.

Probabilmente avrete ascoltato queste canzoni, magari anche canticchiate distrattamente, ma un passo in più da fare è soffermarsi sul testo, interiorizzandolo, perché queste non sono canzoni da ascoltare solo in questa giornata, ma sempre.
Non deve restare un messaggio fine a se stesso e sterile, che si perde in queste parole.

Ho cercato di fare una cernita, molte sono le canzoni – specie in lingua inglese – che parlano delle donne e delle tante forme di violenza che subiscono ogni giorno allegando canzone e testo nei link.

Parto con una tra le mie band preferite, gli Alter Bridge.
In Addicted to pain viene detto molto chiaramente che cercare di convincersi che la realtà non è quella che si vive, che la violenza subita a livello mentale e psicologico, per tantissimo tempo, non esiste, è sbagliato.
Mentire a se stesse cercando di convertire queste bugie in una verità per il nostro animo è sbagliato.
E questo ci rende talmente "dipendenti dal dolore" al punto tale da essere ormai "troppo cieca per vedere che sei smarrita nelle ombre", quelle di una violenza che non si riesce ad affrontare.
Da notare il termine "addicted", quello usato nella fattispecie per qualsiasi dipendenza da sostanze, come se non si riuscisse più a combattere questa dipendenza, portandoci nel circolo vizioso di una mente labile, che vede ormai alterato questo dolore al punto da vederlo come una sorta di benessere, come quello che dà una droga a un tossicodipendente.
Il brano lo trovate qui

Myles Kennedy ci urla che "perderai tutto" se continui su questa scia, ovvero anche la vita.


Andando più a ritroso nel tempo e andando sui classici, abbiamo i Pink Floyd che, in Don't leave me now, ci presentano un uomo violento che, all'abbandono di quella che ora è la sua ex, si mostra ansioso e desideroso di volerla ancora... "per picchiarla a sangue il sabato sera".
Fa leva su questa donna ricordandole "i fiori che le ha regalato", sperando che lei si addolcisca e torni sui suoi passi, di nuovo accanto a lui.
Il cercare di ricordare le belle cose passate, fare un regalo per tenere buona una donna che ha subito violenza accade molto spesso. Bisogna avere il coraggio di dire no, di lottare, di andare via e di non farsi commuovere da queste parole vuote, che mirano a un altro fine, che non sono pregne d'amore come invece ci si vuol far credere.
La canzone è questa.

Una canzone che forse abbiamo ascoltato tutti e spesso viene passata maggiormente durante le vacanze natalizie (forse mi confondo con Last Christmas degli WHAM!) è questa.
La conoscete? Penso proprio di sì.
In Every breath you take si parla di stalking in questa canzone e lo stalker lo dice senza problemi: sarà come un'ombra sempre appresso a questa ragazza, non lasciandola mai sola, e non ci sarà passo, sorriso, movimento che lei farà come ogni parola che dirà che lo stalker non saprà.
Perché sarà lì, "ogni singolo giorno" a guardarla.
Non trovate sia inquietante? E sono sicura che almeno una volta nella vita questa canzone sia stata cantata da molti di noi.
Adesso le parole di questa canzone non avranno più lo stesso tono scanzonato, ora che hanno acquistato un senso. Saranno senz'altro più amare, ma la consapevolezza insegna sempre qualcosa di nuovo.

Lo stalker dice che sogna la notte la ragazza, che la desidera... da persone così bisogna stare alla larga. Questo non è amore.

  Behind the wall di Tracy Chapman è una canzone che parla di violenza domestica, ovvero un marito che picchia la moglie (ma come si fa a chiamare un uomo del genere marito?), il tutto narrato... da una terza voce, un vicino di casa.
Questo vicino passa "un'altra notte insonne" perché sente "urla al di là del muro" e, sebbene si intervenga chiamando la polizia, le forze dell'ordine affermano di "non possono interferire negli affari domestici", quella donna sarà sempre sola, tra quelle mura, a lottare contro un uomo, perennemente sola, mentre chi avrebbe il dovere di fare qualcosa, perché dovrebbe tutelare la gente, non alza un dito.
L'indifferenza regna sovrana.

Anche se questo brano non è proprio dedicato a una donna (non le è stato possibile crescere per diventarlo), l'indifferenza della gente viene anche illustrata da Lucio Dalla in Carmen Colon, dal nome della bambina che è stata uccisa nel 1971.
Anche questa è violenza, e nessuno è intervenuto per provare a impedire che accadesse, mentre i media mostravano finta commozione per il caso, proprio come la D'Urso quando si mette a fare quei pianti falsi nella sua sottospecie di programma televisivo.
Lucio Dalla non è stato zitto e infatti lo dice: "grandi i titoli sopra i giornali", ma "né un aiuto né una mano le hanno dato".

Restando ancora a casa nostra, abbiamo Carmen Consoli che in La signora del quinto piano, canzone scritta proprio per sensibilizzare contro la violenza sulle donne e per far conoscere il 1522, il numero nazionale antiviolenza.
Il pezzo è stato cantato assieme a Elisa, Emma, Gianna Nannini, Irene Grandi e Nada.
Qui abbiamo il brano e il testo. Non mi soffermo molto a commentarlo, perché credo che questa volta il problema della lingua non ci sia.

Chi lo dice che le donne tra loro si odiano? La collaborazione per qualcosa più grande di noi è indispensabile e tutti, donne e uomini, siamo chiamati a fare qualcosa.


Nina Simone nella sua Four women, sottolineava per mezzo della storia di quattro donne, la doppia discriminazione che le donne afroamericane subivano alcune decadi fa sia perché donne sia perché di colore.
Questa canzone, per via del messaggio di denuncia per la condizione della donna afroamericana, fu oggetto di molte critiche, rivolte anche alla stessa cantante che l'aveva composta.
Le voci di Sarah, una donna con la schiena forte, "piegata ma non spezzata" dalle angherie della vita, di Saffronia, nata dalla violenza di un uomo bianco a sua madre, di Sweet Thing, il nome d'arte di una prostituta, e di Peaches, una ragazza consapevole di tutto quello che la circonda e che ha deciso di non subire più tutte queste ingiustizie, vengono cantate da una donna la cui voce pare intrisa di quella rabbia struggente e graffiante capace di toccare anche le corde nei nostri animi, ancora oggi.

Quattro storie di donne, una sola voce: la denuncia per migliorare le cose. Perché bisogna crederci.



Anche John Lennon, dopo che conobbe Yoko Ono, si interessò e avvicinò al femminismo. Lui per primo affermò di aver maltrattato le sue ragazze da giovane.
La canzone Woman is the nigger of the world è un brano che fu bandito per via della parola "negro" all'interno del titolo, ma che fu utilizzato specificatamente per sottolineare la condizione di asservimento delle donne nel mondo intero e nella società in generale.
L'immagine suggerita è quella di una donna che nella società attuale vive proprio come gli schiavi di colore al tempo della loro disumana condizione di schiavitù, e che sono viste come "vecchie grasse galline" una volta assolto il loro unico compito ovvero quello di "fare e crescere bambini", relegandola a stare in casa, che è "l'unico luogo in cui le diciamo che può stare". Quel noi si riferisce alla società, e agli uomini per la maggior parte dei casi.
Potete ascoltarla qui.


Me and a gun è invece una canzone di Tori Amos autobiografica, nella quale la cantante racconta di uno stupro subito all'età di ventun anni dopo un concerto.

Fu minacciata con un coltello e dopo la violenza è riuscita a scappare.
La Amos ha scelto di utilizzare la musica, la sua passione, per esorcizzare un avvenimento che l'ha segnata per sempre, avvertendo un senso di catarsi.
Immagino che non sia stato molto facile per lei, però mi rendo conto che la scrittura e l'arte hanno un potere davvero terapeutico; io per prima, quando un vecchio mi ha palpato il didietro in fila al supermercato con sua moglie affianco (la quale mi ha detto che è stata colpa mia che indossavo un paio di pantaloni della tuta aderenti), una volta tornata a casa, umiliata e in lacrime... ci ho scritto su. Mi è servito, e mi ha aiutata.

Christina Aguilera ci racconta invece di sua madre, che ha lasciato il marito violento quando lei aveva sei anni.
In Oh mother, abbiamo un tributo, un elogio a sua madre che, stanca di subire le percosse e le violenze psicologiche, è riuscita a trovare il coraggio di andare via e di ricominciare, anche per i propri figli, il giorno in cui "ha alzato le mani sui bambini".
"Una voce nella sua testa affermava 'meriti molto più di questo'", afferma la Aguilera e questo le ha permesso di lottare, "smettendo di nascondere tagli e lividi".
Afferma che sia lei sia sua madre sono "più forti" anche "per tutte le lacrime versate" e "adesso non potrà far più loro del male".
La canzone è questa

Non sono solo queste le canzoni che mi sono venute in mente, anzi. Mi rendo conto però che potrei risultare troppo logorroica, ragion per cui cercherò ora di essere più concisa.

Alle volte capita che si è talmente accecate dall'amore che noi proviamo da non renderci conto che non è vero amore, ma si continua a difendere il proprio carnefice pensando che "il vero amore è un amore crudele". Recita così And then you kissed me dei The Cardigans. Le percosse sono viste come gesti d'amore, come i baci, essendo ormai intossicati da convinzioni sbagliate prese per vere. 

In lingua spagnola abbiamo Malo di Bebe. Anni fa fu un vero e proprio tormentone estivo, e le parole incisive con un ritmo che risuona in testa parlano chiaro: è una denuncia aperta contro la violenza sulle donne. "Non si fa del male a a chi si ama", e non bisogna pensare che "gli uomini sono migliori delle donne", è una cosa stupida. Siamo pari, ciò che esigiamo è il rispetto. Il rispetto non si deve implorare perché non si è inferiori a nessuno. E quando si dà della puttana a una donna "il cervello rimpicciolisce": quello che una persona fa nel proprio letto è affar suo. E se pensate che offendere, o meglio, provare a offendere o denigrare psicologicamente di modo che si vinca una battaglia che sarebbe persa ad armi pari è ignobile. 

E non finisce qui. Ma mi fermo io.

Allen Ginsberg affermava che "se la musica è il cibo del mondo, allora che si suoni", e non potrei essere più d'accordo. Farsi portavoce di messaggi importanti, unendo alla musica parole che possono scuotere l'animo e le coscienze è un modo e un monito per tutti che se il mondo è ingiusto perché la natura umana è imperfetta e fallace, l'arte ci unisce tutti, al di là della distanza culturale, fisica, del sesso, delle opinioni, e tende al bene, come come la nostra natura natura più nobile, quella che crea e non distrugge. Ma occorrono i fatti; le parole da sole sono uno strumento che ha bisogno poi dei gesti. Lasciamole entrare in noi, investendoci appieno. Interiorizziamole e diamoci da fare per renderle concrete e mai più astratte.

domenica 8 novembre 2015

Io uccido. Recensione libro.

Parlare di questo libro mi riporta nel lontano 2004, anno in cui una giovanissima Barbara scoprì Giorgio Faletti come scrittore. Si trattava più precisamente del venti novembre 2004.
Lo ricordo fin troppo bene e so anche il perché.
La risposta è semplice: l'abitudine di scrivere la data in cui un libro giunge tra le mie mani (con la conseguente prima lettura pressoché immediata) era già radicata da allora e non ho mai smesso.
C'è da dire che quello fu l'anno in cui fu edito Niente di vero tranne gli occhi, il secondo romanzo di Faletti; io li ricevetti entrambi lo stesso giorno, un regalo di mia madre che, prima di allora non riusciva a spiegarsi la mia passione per i thriller, ma poi ha iniziato a leggerli anche lei. Fortunatamente a casa mia si legge e anche parecchio, senza schifare i vari generi narrativi, quindi mi ritengo davvero contenta di essere cresciuta tra lettori che hanno sempre spaziato.
Conservo un buon ricordo di questi libri e della giornata in sé, in quanto al di là dei nostri scontri, delle prese di posizione fin troppo antitetiche, le mie ragioni mai ascoltate e il suo modo di fare esageratamente autoritario, la lettura negli anni ha permesso di creare un ponte tra me e lei, e per quanto possiamo essere sempre sul piede di guerra e sull'orlo di fratture – più o meno irreparabili – i libri ci permettono sempre di intavolare una conversazione che porta a una tregua.

Perché l'hai raccontato?”, potreste chiedervi.
Cosa vuoi che ce ne freghi, passa alla recensione!”, potreste dirmi.

L'ho raccontato perché mi andava di dirlo, perché quando si tratta delle mie passioni i pensieri non restano fermi e statici, ma fluiscono liberi, come se mi investissero in modo totalizzante, sfiorando più parti del mio essere, come effettivamente dovrebbe fare ciò che ci piace di più.
E anche perché penso che spesso ci si dimentica che dietro a uno schermo c comunque una persona fatta di emozioni e ricordi oltre – si spera – a un cervello funzionante e delle mani che provvedono a scrivere i pensieri che si vogliono esprimere nel modo più intelligente, sensato e competente possibile.
Dovrei ricordarmene ogni tanto anche io, quando penso di non essere mai abbastanza capace e mi demoralizzo nel vedere il mio impegno poco ricompensato, quando le paturnie mentali sono talmente presenti dal farmi pensare di mollare questo progetto.

I ricordi portano anche a questo, indagarci sul presente e sul futuro e questo del blog lo vedo molto incerto.

Tornando a noi, posso dire che, non appena mi trovai questi libri davanti, scelsi di leggerli in ordine di pubblicazione, restando anche colpita dalla copertina (molto semplice ed essenziale, in cui dominano due colori molto pregnanti, il rosso e il nero) e dal titolo del romanzo di cui mi appresto a parlarvi.

Non vi sono spoiler, quindi potete leggere senza problemi.



L'autore: Giorgio Faletti, nato ad Asti il 25 novembre 1950 è stato, oltre uno scrittore, un attore, compositore, cantante e comico.
Laureato in giurisprudenza, iniziò come cabarettista approdando anche in televisione, ed è ricordato come il professor Martinelli del film Notte prima degli esami. Eclettico, coltivò al contempo la passione per la musica scrivendo canzoni per cantanti come Mina e Angelo Branduardi e cantandone e incidendone a sua volta, come la famosa Signor tenente (ispirata alle stragi di Capaci e via D'Amelio), presentata a Sanremo e che gli valse il secondo posto e il premio della critica.
La sua prima esperienza letteraria fu a carattere comico nel 1995 con Porco mondo che ciò sotto i piedi con protagonista il suo personaggio Vito Catozzo e le sue (dis)avventure. Nel 2002 invece pubblicò Io uccido, seguito da Niente di vero tranne gli occhi, Fuori da un evidente destino, Pochi inutili nascondigli (raccolta di racconti), Io sono Dio, Appunti di un venditore di donne, Tre atti e due tempi.
Postumo, del 2015, è La piuma, data la sua morte il 4 luglio 2014.

La trama: siamo nel Principato di Monaco e Jean-Loup Verdier, speaker di Radio Monte Carlo riceve la chiamata artefatta di un uomo che si fa chiamare “Uno e Nessuno” preannunciando la sua intenzione di uccidere. Considerato sul momento uno scherzo di pessimo gusto, il giorno dopo vengono ritrovati i cadaveri di una coppia: un pilota di formula uno e una giocatrice di scacchi di fama internazionale. Entrambi sono stati sfigurati e una scritta col sangue appare sulla scena del crimine: io uccido.
Viene mandato a indagare sul caso Nicholas Hulot, affiancato da un compagno d'eccezione, Frank Ottobre, agente FBI in congedo temporaneo.
Altre vittime saranno incrociate dagli investigatori e al contempo si avranno altre persone che desiderano indagare sulla morte della scacchista per motivi personali, fino ad avere il primo sospettato, nonché la morte di chi si era avvicinato di più alla vera identità dell'assassino e Frank si ritroverà a dover interpretare nuove e vecchie tracce giungendo all'insospettabile serial killer...

Il consiglio musicale: mi viene da dire che questa volta la canzone, anzi, le canzoni, sono state già scelte. Capirete leggendo la recensione.
La mia invece è Danse macabre dei The Agonist, che ho associato per via della figura del doppio che si avverte nel libro e che ho percepito anche nella canzone.

La recensione: bisogna dire che questo libro ha diviso a suo tempo (e credo lo faccia tuttora) i lettori e i critici italiani.

So anche che quando si parla di Faletti come scrittore molti hanno il pregiudizio del tipo “eccolo qua, un altro dello spettacolo che vuole fare lo scrittore, e col suo nome non gli risulterà difficile”: non è una cosa da biasimare, perché è molto difficile essere scrittori, figurarsi esserlo per persone che fanno tutt'altro nella vita. Con questo non voglio dire che non si possa essere scrittori facendo un altro mestiere e non esiste mettermi in bocca parole che non direi mai (per onestà, uno scrittore italiano che stimo, ammiro e rispetto tanto, Paolo Gulisano, è un medico, quindi non è impossibile essere sia una sia l'altra cosa. Io per prima vorrei, un domani, essere come lui), ma capisco benissimo che ci possano essere delle riserve nell'approcciarsi a Faletti.

Oggi pare, specie con la globalizzazione e l'uso di Internet che permette di collegare molte più persone e più velocemente rispetto a dieci anni fa (ma anche di più), che le persone siano tutti medici, tutti professori e tutti scrittori, per citare mia madre; ne consegue che sono in tantissimi a voler tentare la carriera scrittoria, ma di molti libri di persone e anche abbastanza famose ne faremmo volentieri a meno, sul serio.
E non voglio fare nomi, perché inizierei a sparare sulla croce rossa e anche perché sono tanti, il fenomeno è dilagato a macchia d'olio.
Ricordo però – non so se crederci fino alla fine perché sono scettica di mio – che Faletti avesse inviato il suo manoscritto a varie case editrici e che avesse ricevuto picche, fino a quando qualcuno della Baldini e Dalai ha voluto investire in lui.
Se così fosse sarebbe una storia a lieto fine, durata secondo me troppo poco.

Ritengo che in Italia manchino gli scrittori di thriller (che è ben diverso dal giallo) e che questo sia un campo molto più vittorioso per gli scrittori statunitensi (e io ci aggiungo gli scandinavi), ma qui abbiamo un thriller italiano e una buonissima prova d'esordio, per quanto sia stato detto che è un'americanata, ovvero un'imitazione degli scrittori d'oltreoceano.
Il modello che può essere rilevato maggiormente è Jeffery Deaver, scrittore de Il collezionista di ossa e della saga con protagonista Lincoln Rhyme, e chi divora thriller può essere tra queste persone: chi pensa sia una copia o chi pensa sia un modello di base da cui partire.

L'ambientazione è europea, quindi non ci troviamo negli States, ma nemmeno in Italia, perché come disse tanto tempo addietro Faletti stesso “ambientare un thriller in Italia sarebbe improbabile” e questo è assolutamente opinabile, ma la location è particolare.
Trovarsi nel Principato di Monaco, un Paese visto sempre come affascinante, lussuoso, pieno di glamour e di magia derivata anche dal fascino dei personaggi dello spettacolo e della vita mondana e vedere questa magia violata da un assassino seriale che all'inizio non viene preso sul serio e che poi si mostra per mezzo delle uccisioni perpetrate, un assassino che appare e scompare a suo piacimento e che si sente invincibile... beh, è insolito e oserei dire piacevole.

Le vittime sono personaggi famosi, le cui morti hanno anche un forte impatto mediatico; ricordo che questa veniva definita come una pecca della narrazione perché appariva alquanto improbabile che tutti i defunti fossero volti noti, e io vorrei dire che, trovandoci nel Principato (paese con una densità di popolazione alta, ma per rapporto alla sua estensione non così rimarcabile) molti sono i vip che ci vivono e probabilmente il killer desiderava colpire loro nello specifico, o farci pensare che ci fosse un nesso tra tutti loro o... varie possono essere le ipotesi e l'investigatore ossia il lettore dovrebbe vagliarle tutte, o almeno provare a pensarci. La stessa cosa vale per le prime due vittime: se due personaggi noti sono una coppia credo che derivi dal fatto che sia molto più facile incontrare qualcuno del tuo ambiente. Per carità, esistono le relazioni tra personaggi famosi e persone comuni, ma è più facile che qualcuno del jet-set frequenti qualcuno dello stesso “giro”. Non per nulla il Principato viene definito “Hollywood d'Europa”.

Le descrizioni sono molto dettagliate: i luoghi sono tracciati con molta minuzia e particolari. Sembra di essere direttamente sulla scena o di avere la scena davanti agli occhi come se si stesse guardando tutto da uno schermo perché vedi un film. A ogni rilettura mi viene voglia di andare direttamente in Costa Azzurra per vedere proprio i luoghi descritti.
Allo stesso modo anche i delitti sono ben definiti e alcune scene sono piuttosto forti e cruente. Credo che questo potrebbe essere un impedimento alla lettura per qualcuno facilmente impressionabile. Il trasporre su carta le paure dell'uomo derivate dalle immagini truculenti per mezzo delle descrizioni è degno di nota.
I volti sfigurati a me hanno ricordato il quadro Il doppio segreto di Magritte e il rimando è stato piacevole anche per il significato del quadro proseguendo la lettura, ma non faccio spoiler.

La cura e l'attenzione al dettaglio al particolare nella descrizione può essere comunque un'arma a doppio taglio giacché abbiamo che ama le descrizioni e chi le odia, e qui si va di soggettività.
Ciò è dovuto anche al fatto che Faletti si fa beffe dello “show, don't tell”, e preferisce narrare e descrivere, almeno all'inizio del romanzo, per cui si può avere la sensazione che la storia non ingrani, cosa che poi fa.
Per come sono io, non disdegno né il raccontato né il mostrato, anzi, dovrebbero essere ben mescolati tra loro, a seconda di quello che si vuole esprimere nella scena e su cosa ci si vuol soffermare nel determinato momento.
Troppi dettagli al momento sbagliato fa difettare un libro di agilità, nessun dettaglio rende il libro sterile, in termini spiccioli.
Il giusto sarebbe bilanciare le cose, per quanto io prediliga perdermi nei pensieri dei personaggi perché adoro essere un po' come il professor Xavier con i personaggi (altrui e miei) e Faletti analizza gli eventi da più prospettive diverse, indagando l’animo e le ragioni private dei protagonisti in maniera particolareggiata.

Allo stesso modo si può apprezzare o meno la mancata descrizione particolareggiata di tutti i personaggi; a parte alcune eccezioni come Frank o altri personaggi che compaiono più spesso, gli altri non hanno una descrizione che li possa tratteggiare a grandi linee. Se da un lato questo può comportare un vantaggio per chi desidera immaginare i personaggi a modo suo per essere più coinvolto nella vicenda, dall'altro si rischia di non esserlo affatto perché può accadere che si desiderino maggiori dettagli delle persone per figurarsele.
Alcuni di questi personaggi però riescono nel loro intento, ovvero con quel “poco” – dipende da quello che si cerca quando conosci un personaggio – si riesce comunque a simpatizzare per loro o se vuoi prenderli a sprangate sui denti.

Uno dei fili conduttori è la musica, una delle più grandi passioni di Faletti e che ha inserito nel romanzo non solo proponendoci tra i personaggi qualcuno che ha a che fare con la musica per mestiere, ma abbiamo anche la musica nei delitti perché la voce fuori campo che annuncia i suoi delitti alla radio, dopo aver fatto il suo spettacolo di annuncio del prossimo omicidio, lascia in sottofondo una canzone, ovvero l'indizio che lascia per far capire chi sia la prossima vittima.
Se non conoscete i brani che vengono citati nel romanzo, vi consiglio di ascoltarli, magari proprio in concomitanza con la lettura, se siete lettori che hanno un sottofondo quando assaporano o divorano un libro.

La costruzione della vicenda, della trama, c'è. La storia è suggestiva e risulta essere coinvolgente, con le sotto-trame che restano ben legate alla narrazione principale, nonostante la mole del numero di pagine che potrebbe scoraggiare un lettore che non ama vedere libri spessi. 
L'assassino viene svelato prima della fine del libro, ma questo non impedisce di continuare e di divorare il libro sino all'ultima pagina, tutt'altro.
Il flashback utilizzato alla fine è particolarmente incisivo.

Ho apprezzato i rimandi alla classicità (che sia una prerogativa del tutto italiana?), e specie quell'uno e nessuno dell'assassino, che rimanda a Pirandello e al Nessuno omerico, ma senza essere una cosa che lascia il tempo che trova.

Si ha anche un altro filo conduttore che è quello dell'essenza distruttiva che può avere l'uomo sia su di sé sia sugli altri per mezzo dei suoi pensieri, delle sue parole e dei suoi gesti, una sorta di follia che genera follia e già la citazione utilizzata come incipit, di Federico García Lorca, esprime bene quello che sarà l'elemento collante della psiche di un uomo che ha desiderato distruggere, ma anche delle altre persone che si trovano attorno a lui e che, per vari motivi, conoscono varie forme della distruzione, attuata o subita:

Per la strada va
la morte, incoronata,
di fiori d'arancio appassiti.
Canta e canta
una canzone
sulla sua chitarra bianca
e canta e canta e canta.”

La costruzione del serial killer, con tanto di elemento perturbante del doppio/gemello è un qualcosa che ho molto apprezzato, come l'origano sulle friselle con pomodoro e olio d'oliva, se mi è concessa la similitudine culinaria e di citare un cibo della mia terra.
Mi ha ricordato molto Lo strano caso del Dott. Jekyll e Mr. Hyde, in quanto l'assassino era combattuto interiormente tra uno dei dilemmi che, in un modo o nell'altro, affligge chiunque, nella dicotomia tra bene e male, sempre presenti: laddove c'è uno abbiamo necessariamente anche l'altro.
Il suo fare del male, frenato alle volte dal voler evitare di arrivare a tanto, che poi viene comunque messo a tacere, la coscienza senziente ingoiata di nuovo nelle profondità delle viscere, è sapientemente definito proprio quando ci troviamo a leggere dell'assassino, quando ce lo troviamo davanti nel suo angolino, la sua voce interiore che risuona dalle parole scritte da Faletti.
Questo lo si può notare, da un punto di vista narrativo, dall'uso del tempo passato (usato per la narrazione) che improvvisamente passa al presente quando entriamo nella mente dell'assassino. Trovo sia una tecnica incredibilmente d'effetto: per usare la metafora del film, pare che si abbia una telecamera che gira indisturbata su un set cinematografico, filmando tutto (narrazione al passato con narratore onnisciente), ma all'improvviso ecco che di ha uno zoom sull'assassino.
Ci ritroviamo a osservarlo, spiandolo, ma non cogliendo la sua identità se non quasi alla fine (altro punto a favore del libro). Lo si spia, mentre indossa ancora il suo abito integrale nero con tanto di maschera (come viene disegnato l'assassino ancora ignoto con la tutina nera in Detective Conan), lo osserviamo, in prede alla furia della sua rabbia, percependo le vampe dell'ira che lo assale al punto tale che diventa la sua ombra, un qualcosa che lo segue fino a quando si erge a essere l'Atropo che recide il filo della vita delle vittime da lui designate.
I capitoli del killer sono quelli più venati di poesia, mirata anche a sottolineare che anche in una persona così spietata ci sia amore... e ti viene da chiedere: è possibile davvero definire amore quello che muove un uomo che agisce a tal modo? Quando si può parlare invece di ossessione, di attaccamento morboso, di follia pura?
Il confine è labile, come la psiche umana ed è affascinante come si possa restare colpiti dalla mente di qualcuno che ha scelto di diventare una macchina di morte.
Una persona che potresti salutare semplicemente tutti i giorni e che all'apparenza è la persona più mite e pacifica del mondo...

Con il prosieguo della lettura si sviluppa meglio il modus operandi e si hanno alcune spiegazioni del comportamento dell'assassino grazie alla figura di uno psicopatologo, e ammetto che avrei gradito ancora di più la sua presenza, perché secondo me c'era molto da dire.

Una cosa che è stata criticata di questo libro è l'uso del sarcasmo nelle battute dei personaggi, trovate anche queste irrealistiche, con battute e freddure che, a quanto pare, non sono proprie delle “persone normali”, stando a quanto ho sentito dire tempo fa.
In un thriller c'è sempre qualcuno o dei personaggi che hanno un senso dell'umorismo particolari o sono tratteggiati con tinte anche fosche di sarcasmo, ma c'è da dire che ci sono davvero persone che fanno battute tristi, altre meglio riuscite, altre che fanno ridere, ma sono più sottili. Chi meglio di un comico può saperlo? Io ci leggo anche una presa in giro alla categoria di cui fa parte anche lui, ma potrebbe anche essere che sia io che legga cose che non ci sono.

Posso dire candidamente e senza nessun problema che questo è nella mia lista (lunga e variegata) dei miei libri preferiti, perché trovo che la storia sia stata ben congeniata e, se si dice che ci troviamo davanti una puntata di CSI con questo libro, permettetemi di dirmi che sicuramente non è Squadra antimafia. E ho detto tutto.

Diventando seria, questa resta un'ottima prova di esordio di uno scrittore snobbato così come il genere da lui scritto ("il thriller è roba da leggere in spiaggia!!!!111one") e sono sempre molto contenta di riprenderlo in mano quando ho bisogno di ritornare in un Principato e sulle tracce lasciate da un assassino così folle e al contempo fragile come quello dipinto da Faletti, a cui sarò sempre grata della bella lettura che mi regala ogni volta.