martedì 8 marzo 2016

Di come io e l'otto marzo ci guardiamo sempre in cagnesco.

*Attenzione: contiene linguaggio a tratti scurrile*

Questa volta parlerò di qualcosa partendo dalle mie esperienze, quindi il discorso sarà personale, per cercare magari di fare un discorso generale. Si prega quindi di non giudicare il mio vissuto o la mia visione delle cose; per parlarne in modo civile e garbato, invece, sono sempre disponibilissima.

Non ho mai fatto mistero del fatto che sono atea e anticlericale, ma non per questo non rispetto le persone religiose (di qualunque religione, a patto che si rispetti me e il mio ateismo e non vogliono cercare di inculcarmi qualcosa), quindi non ho un problema con le feste “programmate” come il Natale, la Pasqua o le feste patronali.

È altresì vero che l'unica festa che io adoro è il compleanno, sia quello delle persone a me care sia il mio, perché mi piace davvero fare regali a chi voglio bene, ma riconosco che preferisco (specie fare) di più un pensierino random in qualsiasi altro giorno dell'anno perché per ricordarsi di qualcuno non serve la festa, se si tiene a essa, almeno secondo me.

C'è però una giornata dell'anno in cui io vedo dilagare la grande fiera dell'ipocrisia che possiamo sì vedere ogni giorno, ma qui portata all'estremo: sto parlando dell'otto marzo, il giorno che viene definito come la “festa delle donne”.

Perché ce l'ho con questa “festa”? Beh, è presto detto: non ce l'ho per la giornata in sé, ma per l'uso che la gente fa di questa giornata e no, non mi sto riferendo al voler andare a festeggiare magari con degli spogliarellisti. Ma andiamo con ordine.

Innanzitutto la “festa delle donne” non si chiama così: il suo vero nome è giornata internazionale della donna e molti sono i miti e le leggende che ruotano attorno a questa giornata.
Miti e leggende che sono dei veri e propri falsi storici.

Le leggende narrano che questa giornata sia nata in commemorazione di alcune donne americane che persero la vita in un incendio in fabbrica nel 1857, perché furono chiuse nella fabbrica dal proprietario affinché le donne non partecipassero a uno sciopero. Altre storie fanno riferimento a un rogo avvenuto nel 1911 a New York in una fabbrica di camicie, in cui persero la vita 134 donne.
Controllando le fonti storiche si scopre che questa fabbrica non esisteva e ogni Paese cambia sempre date, luogo e numero delle vittime.

Ebbene, tutto questo è falso.

L'origine della giornata internazionale della donna è da ricercarsi nella storia del socialismo.

Nel febbraio del 1909 gli Stati Uniti, su iniziativa del Partito socialista americano, pensarono di celebrare per la prima volta questa giornata. Nel 1910 l'iniziativa venne raccolta a Copenaghen durante la Conferenza internazionale delle donne socialiste, anche se non risultano le motivazioni che portarono a scegliere tale data, stando ai documenti del congresso. E infatti fino al 1921 i singoli Paesi scelsero giorni sempre diversi tra loro per questa celebrazione.

Dal 1921 si scelse invece – durante la Seconda conferenza delle donne comuniste a Mosca – come unica data per le celebrazioni, uguale in tutto il mondo l’otto marzo, in ricordo della manifestazione contro lo zarismo delle donne di San Pietroburgo nel 1917.

Questa giornata non ha nulla a che vedere con commemorazioni varie ed eventuali (oltre che fasulle). In Italia trovò riscontro negli anni '40, a opera delle donne dell'Unione Donne in Italia e si scelse come fiore la mimosa, perché si trova a marzo e costa(va) poco – oggigiorno direi che la paghi anche troppo visto il lato consumistico che ha assunto ogni ricorrenza – ma le iniziative di renderla giornata nazionale non attecchirono fin quando non arrivò anche da noi il femminismo.

La cosa che mi preme sottolineare è una: il femminismo non è il contrario del maschilismo.

Il femminismo lotta per far sì che tutti indistintamente siano davvero di pari diritti e doveri di fronte la legge e nella società. Si sostiene quindi la parità economica e sociale dei sessi, che il sesso biologico non sia un discriminante che determina un modello sociale prestabilito, o i diritti politici ed economici della singola persona.
Il femminismo lotta contro tutte le oppressioni di genere, rivolte alle persone, siano esse donne o uomini.

Si tratta quindi di una forma di egualitarismo; molto spesso si chiede perché al posto di “femminismo” non si usa la parola “egualitarismo”: la risposta che io do è sia etimologica sia sociale.
All'interno dei trattati medici francesi del Settecento si ha la definizione di “femminismo” come una patologia, ovvero la fiacchezza e l'indebolimento del corpo maschile. Era un termine dispregiativo utilizzato per dire dunque che sono le donne a essere deboli (anche fisicamente), non gli uomini. Da qui si capisce che la donna è stata da sempre oggetto di vessazioni fisiche, sociali, economiche e politiche e questa è la ragione per cui si usa la parola “femminismo”: ricordare da dove si è partiti, per cercare di ottenere la vera parità.

Non dobbiamo nascondere il fatto che dietro la parola “femminismo” si nascondono molte persone che pensano solo ai propri interessi, i loro tornaconti e pensano e dicono cose del tipo “le donne sono superiori”. No, questo non è quello che il femminismo insegna. Queste persone non sono femministe. Mi spiace deludere queste persone (ma anche no), ma no, il femminismo predica la parità e cerca di renderla effettiva anche nei fatti.

Assodato ciò, passo a dire perché mi dà fastidio il come venga utilizzata questa giornata.

Prima ho detto che non mi riferisco di certo alle donne che questa sera andranno in discoteca, si divertiranno, balleranno… ognuno nella propria vita è libero di decidere come spendere meglio il proprio tempo.

Come sempre ricordo che non esiste un unico modo di essere donna: si è donne in qualunque modo si decide di vivere la propria vita, al di là degli stereotipi e delle convenzioni sociali; si deve fare ciò che ci si sente di fare.

L'amare la discoteca (esempio che uso sempre perché viene visto come simbolo di frivolezza e stupidità) non è condizione necessaria e sufficiente per giudicare una persona, tantomeno una donna. Il fatto che una persona ami ballare non vuol dire affatto che non possa essere una persona che ha interessi, che lavora, che vuole essere indipendente o chissà altro. Una bella manica di fatti propri la gente dovrebbe farsela sempre.

Ed ecco che abbiamo quegli uomini – e anche tante donne – che vogliono affibbiare l'etichetta di “troia” a chi va a ballare, a chi fa sesso occasionale, a chi sceglie di vivere la propria vita come meglio crede e quindi inizia un discorso del tipo “non sono vere donne quelle che si vanno a divertire, fate schifo” o “la festa della donna non è solo oggi, si è donne sempre”, “questa sera la voglia di cazzo si farà sentire” (nel caso in cui si aggiungano anche gli spogliarellisti).

Un momento, prima dite che si è donne sempre e poi quando una donna si diverte non lo è più? Come funziona questo ragionamento? Non notate che ci sia dell'ipocrisia di fondo nemmeno così tanto velata?

Bisogna far notare che, nel caso sia un uomo a voler andare in discoteca, le persone che ritengono che la donna sia una troia, lo legittimano per un uomo, mentre chi lo legittima per una donna dà all'uomo del porco o del bastardo. Se da un lato ci sono le “cagne”, dall'altro abbiamo il “cacciatore”, se da un lato abbiamo la “cacciatrice”, dall'altra abbiamo lo “stronzone”. Si hanno sempre due pesi e due misure quando le persone sono tutte uguali. Nell'eventualità in cui a una donna poi piacciano gli uomini, ritengo che la voglia di cazzo ci si anche tutto l'anno. Lo stesso vale per le donne a cui piacciono le fighe o tutti e due.

I giorni di queste “feste” mostrano come sempre la falsità delle persone e dei loro ragionamenti.

Ed ecco come, dopo centinaia di anni di tentativi di emancipazione, proprio per l'otto marzo, si attua la svalutazione della donna per la propria libertà sessuale, laddove ancora non è chiaro che una persona (e quindi anche la donna visto che è una persona) può fare quello che più la aggrada, non solo oggi, ma tutti i giorni.

L'assunto dell'essere donne sempre, in ogni giorno dell'anno è giusto, e se qualcuno vuole divertirsi questa sera non è quello il problema.

Il problema sussiste quando ci si ricorda della donna solo in questo giorno, mentre tutti gli altri giorni dell'anno non viene considerata se non alla stregua di un oggetto.

Sentirmi dire – tanto per non uscire dal mio seminato – da mio padre “auguri”, quando ieri sera mi ha detto che spera che il mio futuro marito mi metta in riga a suon di sberloni perché il mio voler avere una relazione sana, fatta sul rispetto e sulla condivisione (anche delle mansioni domestiche) a lui non sta bene visto che pensa che l'uomo in casa non deve fare nulla perché ci sono moglie e figlia che sfaccendano, io non me ne faccio nulla. Sono una presa per i fondelli degli auguri del genere.

Vedere mio fratello che mi porge un rametto di mimosa quando poi i restanti giorni dell'anno mi definisce una sfigata perché amo scrivere e perché sono single (“ma che vuoi rimanere zitella?”) mi fa venire da dire, in un modo nemmeno tanto educato, che la mimosa se la può infilare nel culo visto come mi tratta.
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Per dirlo con un meme. Crediti de L'ignorante.
Non bastano degli auguri o un gesto simbolico a cambiare le cose. Non servono a nulla se non sono accompagnati dai fatti.

Per fatti io intendo i gesti, i pensieri e le parole che recano davvero rispetto a una donna. E questo deve essere fatto da tutti (non è un caso che una delle mie rubriche si chiami “donne che odiano le donne”) e porto alcuni esempi; se li mettessi tutti diverrebbe un papiro.

Dire a una donna che è una troia perché indossa una minigonna non è rispettoso, dire a una donna che è puttana perché fa sesso occasionale non è rispettoso, dire a una donna che non è una donna se non desidera avere figli non è rispettoso.

Augurare a una donna uno stupro perché “quella brutta troia mi ha friendzonato!” è da persone di merda (non posso dire rispettoso) perché non si ha rispetto né della donna in questione (che si è vista come altro) né del sentimento dell'amicizia che si millantava, usandolo come copertura per ottenere qualcos'altro. Uno stupro è quanto di più brutto possa esserci per una persona, non sono auguri da fare, è da teste di cazzo.

Scrivere sotto la foto di una modella/cosplayer/attrice “sei da stupro”, “quanti colpi di minchia che ti darei”, non è rispettoso perché se la loro bellezza e il loro fisico sono adoperati per lo spettacolo, questo non vuol dire che tu, tizio generico, debba sessualizzarle. Non sono dei pezzi di carne, sono persone. 

Dire a una donna che è una troia perché parla col tuo ragazzo (magari anche tentando un approccio con lui) non è rispettoso: per quanto io – singola persona, di nome Barbara – non ami proprio approcciarmi a una persona che so già essere impegnata per rispetto delle persone che vivono la relazione e della relazione stessa, so che non è la donna che sbaglia se le viene data corda dall'altra parte della tua relazione.

Chiedere a una donna a un colloquio di lavoro se ha un partner o una famiglia o desidera avere figli non è rispettoso oltre a essere una cattiveria visto che non sono le capacità lavorative della persona a esser messe in discussione, ma le sue scelte di vita, ledendo quindi l'autodeterminazione della donna nella propria vita.

Giustificare una molestia o una violenza su una donna “per colpa del suo abbigliamento” non è rispettoso, relegare una donna al ruolo di serva in casa – per quanto lei possa dedicarsi alla casa e ai figli per una sua libera scelta – trattandola come una bestia da soma non è rispettoso, dire a una bambina che deve essere sempre essere a modo e non deve giocare (facciamo un esempio) col camion dei pompieri non è rispettoso.

Tantissimi sono i comportamenti di retaggio maschilista che si hanno ancora oggi ed è triste vedere che moltissime sono le donne che cercano di screditare le altre, essendo quindi anche loro maschiliste. Perché sì, il maschilismo non è solo prerogativa degli uomini, come comunemente si pensa.

A tal proposito voglio lasciarvi dei link: parto innanzitutto con quelli del SISM, che in Italia provvede sempre con le campagne di informazione – qui e qui ne trovate due – al fine di sensibilizzare quanto più possibile. In particolare queste due campagne sono contro la violenza sulle donne (in ogni sua forma) e per far capire che l'abbigliamento succinto di una donna non è un invito alla violenza.

Vi lascio anche alcuni miei precedenti articoli: 

Detto questo, voglio porgere i miei più sinceri auguri per la giornata internazionale della donna, con l'augurio di essere donne sempre, in ogni circostanza, secondo la propria volontà, inclinazione e consapevolezza, senza nessuna imposizione culturale o da parte di qualcuno.

lunedì 7 marzo 2016

Lo chiamavano Jeeg Robot: come rendermi felice.

Non ho mai nascosto di amare il cinema, mi piace e quando ho l'occasione vado volentieri a vedere un film in sala, soldi permettendo: di solito vado al cinema il mercoledì pomeriggio, la settimana dopo l'uscita di un dato film, perché c'è la riduzione.
Come sempre, ripeto che non sono un'esperta, non ho nessuna conoscenza a livello di critica cinematografica, non ho studi che vertono nel campo del cinema, sono solo una persona che ama il cinema e ama parlare. Ciò non toglie il fatto che io non sia una di quelle persone radical chic del cavolo che tendono a gettare fango su cose che non hanno mai visto e che conoscono solo per sentito dire: questo è un atteggiamento che non mi appartiene.

Non ci sono spoiler a livello di trama, questa volta sono riuscita a non farne; alle volte però parlo solo di alcune scene in particolare: mi occorre per soffermarmi su quello che voglio dire, ma non sono spoiler grossi della storia.

Mercoledì tre marzo sono andata a vedere Lo chiamavano Jeeg Robot, primo lungometraggio di Gabriele Mainetti come regista, con Claudio Santamaria nei panni di Enzo Ceccotti, Luca Martinelli in quelli di Fabio Cannizzaro detto “Lo Zingaro” e Ilenia Pastorelli che interpreta Alessia.

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Il consiglio musicale: in realtà sarebbe più un imperativo. Ascoltate la cover di Santamaria, e magari ascoltatela anche quando vedete il film, ovvero restando ai titoli di coda.

Trama: la storia si svolge in una Roma vittima di attentati – si suppone a opera di alcuni estremisti stando alle informazioni dei mass media. Enzo Ceccotti, protagonista e ladruncolo di Tor Bella Monaca (un quartiere alla periferia della città eterna), si tuffa nel Tevere per sfuggire ai poliziotti che lo inseguivano a causa del furto di un orologio: così si apre il film.
Sott'acqua entra a contatto con delle sostanze radioattive nascoste sotto la battigia, acquisendo così dei poteri eccezionali come la super forza e una notevole resistenza. Da lì una serie di avventure lo porteranno ad avere contatti con Alessia, una giovane profondamente segnata da un precedente lutto, che pensa che Enzo sia Hiroshi Shiba, niente meno che il protagonista dell'anime per cui quest'ultima ha un'ossessione: Jeeg robot d'acciaio.
Sulla strada di Enzo (e anche di Alessia) si metterà davanti lo Zingaro, il capo di una “batteria” di delinquenti romani che nutre l'ambizione di fare il “grande salto” nel giro della delinquenza, per diventare così un esponente di spicco della malavita romana.

Lo sproloquio.

La prima cosa che vorrei dire è questa, giusto per essere chiara e per cercare di far capire se può essere un film gradito a chi mi legge: se si cerca un film di supereroi (un cinecomic) come quelli di casa Marvel, questo film non lo è affatto. Se pensate che durante i combattimenti usciranno le nuvolette con le onomatopee, siete sulla strada sbagliata.
Se si cerca la contrapposizione netta tra bene e male, allora non la trovate.
C'è ben altro e personalmente sono contenta che sia così, perché è un prodotto italiano che non scimmiotta affatto le produzioni d'oltreoceano, non risultando quindi né una parodia, né un calco, né un qualcosa di malriuscito.

I rimandi ad altre opere non scadono nemmeno nel citazionismo o nell'autoreferenzialità a un genere solo. Si unisce l'azione alla commedia, il dramma, il sentimento e non mancano gli spunti di riflessione che si possono fare con questo film.

Il tributo a Jeeg Robot di Gō Nagai è ovviamente presente e vivo, ma come dice il titolo stesso, qui non abbiamo il Jeeg Robot di partenza, visto che qui è un antieroe a esser chiamato così.
Se dovessi fare un riferimento fumettistico, l'atmosfera cupa e nera che permea nel film è più riconducibile alle ambientazioni dei fumetti della DC, anziché quelli Marvel, che spesso sono più noti al grande pubblico (almeno così pare a me). Non per nulla l'attentato allo stadio Olimpico mi è sembrato una ripresa dell'attentato allo stadio in The dark knight rises (e forse non è un caso, visto che Claudio Santamaria ha doppiato Christian Bale nei panni di Batman nella trilogia del Cavaliere Oscuro).

Il nero è quasi il padrone assoluto di quel mondo che vediamo sullo schermo, le tinte fosche – contornate da una certa malinconia – sono ben tratteggiate, e sono anche il trait d'union anche della vita dei personaggi stessi. Il nero tinge la periferia e la borgata quindi non risulta essere solo il luogo adatto per far sviluppare le azioni dei protagonisti, ma riesce a essere parte integrante, se non essenziale, sia per la trama stessa sia per l'atmosfera di tutta la storia. L'ambiente si mescola persino ai personaggi, il cui background ci permette di capire perché sono caratterizzati a quella maniera.
Anche le copertine giocano con quest'effetto: se notate quella che ho messo prima vi accorgerete che ricorda molto quella di Sin city.

Il dialetto romanesco è ben inserito nel contesto e per certi versi questa produzione strizza l'occhio sia a Romanzo criminale sia a Gomorra: se vi è un'ispirazione a esse, non si ha comunque nessuna fotocopia. Visto che il tutto si svolge in una periferia, dove la delinquenza e il degrado la fanno da padroni e i personaggi sono legati alla malavita capitolina, non credo avrebbe molto senso farli parlare in un italiano privo di cadenza e magari anche di dissertazioni filosofiche, si perderebbe credibilità e verosimiglianza. La società viene dipinta anche dai dettagli, come il linguaggio.
Mainetti ha usato come ambientazione una Roma moderna, che ricorda quella degli anni di piombo; abbiamo Roma messa a ferro e fuoco da continue bombe, che hanno reso la città stessa e i cittadini paurosi, terrorizzati. Questo stesso clima di terrore lo avvertiamo anche nella nostra realtà, soprattutto dopo i recenti attentati terroristici a noi noti (con l'aggiunta del fatto che si suppone che proprio Roma possa essere una delle prossime “vittime”): ecco dunque come Roma stessa sia diventata una città che ha bisogno del suo eroe, che possa salvarla.

Il voler inserire rimandi ai problemi contemporanei rende la storia non solo più interessante, ma anche più verosimile; parlando di situazioni che potrebbero accadere lo spettatore riesce anche a sentirsi più coinvolto, non rischiando quindi di essere un film di nicchia che può piacere solo ai cultori di questo o di quell'altro genere.

Ammetto candidamente di essere una persona che tendenzialmente apprezza i buoni (nelle opere in generale) e voglio dire che sono molto contenta di aver visto un cattivo che mi ha convinta e conquistata, era da tanto che non vedevo un cattivo così ben fatto.

Lo Zingaro è un uomo animato dal desiderio di rivalsa, un uomo che si è stancato delle misere condizioni in cui annega la sua esistenza e che non esita a fare il passo più lungo della gamba pur di riuscire, non curandosi delle persone che gli stanno accanto: si è proclamato come “capo” della sua banda e agisce come se avesse sempre potere decisionale su tutto.
È un uomo che vuole essere riconosciuto e rispettato, sentendo un senso di inferiorità rispetto alla società che non lo considera; l'ossessione per riuscire a diventare qualcuno nel suo ambiente lo rende cieco, ma non per questo poco realistico. Ricorda il Joker delle pagine di Brian Azzarello, e nella sua follia anche Buffalo Bill de Il silenzio degli innocenti (la scena in cui lo Zingaro si trucca come Robert Smith dei The Cure), ma non solo loro. Sembra che egli stia quasi sempre sul punto di ridere: la sua bramosia di successo lo ha reso a dir poco folle, come uno psicopatico che crede di potersi arrogare il diritto di vita e di morte sulle persone che gli stanno intorno, e la resa su schermo è ottima, la caratterizzazione è spettacolare.

La sua ambizione mi ha anche ricordato molto “il Libanese” di Romanzo Criminale, con cui condivide anche l'impulsività, mentre, per associazione, Enzo mi ha ricordato “il Freddo”: dal carattere divergente, ma entrambi dei disgraziati, e questa volta non alleati, bensì nemici. È il villain per eccellenza, nemesi del protagonista, con cui ha anche qualcosa in comune, mentre sono le scelte fatte che li rendono poi diversi. Queste affinità sono ben mostrate graficamente in questo character poster, dove abbiamo proprio lo Zingaro che tiene in mano una mannaia sulla cui lama appare la figura di Enzo.

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Lo Zingaro èanche figlio del suo tempo e del contesto sociale nel quale si trova a vivere: è “affamato di fama”, e non disdegna i primi piani in televisione o di essere visualizzato su Youtube quando esegue a sangue freddo una mattanza contro il clan dei camorristi che si era inimicato.
Se Fabio ha partecipato da giovane come cantante a Buona Domenica, ottenendo anche un discreto successo, adesso lo Zingaro vuole farsi strada sui social e sulle piattaforme virtuali, perché sono questi i canali che permettono notorietà nel nostro presente. Questa contestualizzazione l'ho particolarmente apprezzata perché al giorno d'oggi non è infrequente vedere persone che girano video amatoriali in cui fanno sfoggio gratuito della loro crudeltà e cattiveria facendo del male agli altri. Vuole essere visto e non si fermerà fino a quando i suoi obiettivi non saranno raggiunti, anche compiendo azioni cattive e molto violente, solo per essere ricordato.

Mi è piaciuto anche molto il dare allo Zingaro la particolarità di essere un cultore della musica degli anni Ottanta, anche nei gesti come la giacca di lustrini e il torso nudo; la buona caratterizzazione che rende bello un personaggio passa anche per i dettagli, che sanno dare il giusto realismo.

Luca Marinelli poi è stato davvero molto bravo: ha saputo rendere molto bene sullo schermo un personaggio dalle tante sfaccettature, con la sua certa dose di carisma, cattiveria, ossessione e di delirio di grandezza. Lui per me era stata l'unica nota di merito nella trasposizione cinematografica de La solitudine dei numeri primi, ero stata tanto colpita da lui nei panni di Cesare (con cui lo Zingaro ha in comune il desiderio di rivalsa, in aggiunta) in Non essere cattivo e qui si conferma nuovamente come un attore davvero in gamba.

La mano tesa a Quentin Tarantino con la scena del mignolo mozzato a Enzo (e che ormai è in necrosi, contrariamente alle aspettative di Enzo stesso che pensava di riattaccarselo) da parte dello Zingaro che poi cade a terra mi ha colpita in positivo: perfettamente inserita nel contesto come reazione dello Zingaro e come possibile gesto in un combattimento tra delinquenti.
Quel dito potrebbe essere ritrovato da un certo Jeffery Beaumont, chissà, mi fa sorridere l'idea, perché la mia mente è subito andata a Velluto Blu di David Lynch.
Si hanno anche il macabro e la violenza, specie quella gratuita dello Zingaro, a differenza di quella di Enzo: quest'ultimo si è sempre limitato a delle scazzottate, senza cercare di uccidere il prossimo, il primo no.
L'italianità del film – senza essere macchiettistica o patetica – è da ricercare oltre nel film anche negli episodi di uccisioni: quando i camorristi sono lì per lì per uccidere lo Zingaro mentre gli mettono in bocca una mozzarella di bufala – prodotto campano per eccellenza – ecco vedere il sangue sulla mozzarella. Il tutto non risulta stupido, bensì perfettamente inserito nel contesto.

Cosa dire, a questo punto, di Enzo?
Egli è, per dirla in breve, un supereroe “coatto”, un uomo grosso come un orso (Santamaria ha preso anche peso per poterlo interpretare fisicamente), oltre che burbero e scontroso. Sempre solo, quando lo si vede sulla scena è greve, cammina a passi lenti e pesanti, come se la sua esistenza fosse un macigno che gli reca tristezza. Sembra che l'unica dolcezza che trova sia quella dei budini alla vaniglia – mangiati in quantità industriale – che sono l'unico pasto della sua dieta e la “gioia” gli deriva dai film porno di cui sembra fare collezione. Conduce una vita apatica, apparentemente prima di emozioni, dalle azioni meccaniche – e sempre le stesse – da cui comunque non pare trarre piacere, né dalla vita né da ciò che fa, un poco come il Léon di Luc Besson (con tutta la differenza del caso).

Nelle scene in cui si ha solo Enzo, la lentezza delle scene girate sono perfettamente in linea con il personaggio, come se egli vivesse una situazione di stallo di cui anche lui – per rassegnazione o forse no – sa che tutto resterà così come è sempre stato, senza alcuna possibilità di cambiamento, lasciandosi intrappolare ancora di più dalle spire della negatività e dell'indifferenza verso il mondo esterno e gli altri che gli appartengono sin dalla prima scena, quando conosciamo per la prima volta il protagonista.
È laconico e preferisce stare sulle sue, ma i silenzi riescono a dire tanto di lui: è un ladro di periferia che non ha mai fatto il salto, e non appena si ritrova con dei poteri, ecco che li usa per sistemarsi, per riuscire a star meglio.

Quando tira un bancomat per prendere i soldi non ha affatto agito come un supereroe – come quelli a noi noti – dato egoisticamente ha pensato solo a se stesso.
Senza nascondersi dietro un velo di buonismo, ecco cosa ho pensato: chi non lo avrebbe fatto al posto suo? Aveva trovato il modo per arricchirsi, continuando con la delinquenza, dato che probabilmente era l'unica cosa che sapeva fare, perché non riesce a vedere nessun altro modo per vivere.

L'ambiente in cui vive pare rappresentare il suo mondo interiore: lo sporco e il degrado di casa sua può essere visto come l'immagine della sua anima macchiata dal crimine e dalla corruzione. L'incuria verso la sua casa è sintomo della sua indifferenza anche verso la sua stessa vita, i cui giorni sembrano passare tutti uguali, senza che nulla possa cambiare, almeno secondo lui. Laddove lo Zingaro abbellisce i suoi ambienti (perché vuole cambiare vita, con tutto ciò che ne consegue se cambia anche la qualità della stessa), Enzo non lo fa, ma il cambiamento arriva quando giunge Alessia.

Alessia è una giovane adulta che possiede l'innocenza tipica dei bambini, Ilenia Pastorelli col suo accento verace riesce a rendere una “bambina cresciuta” che vive in periferia e che si è creata un mondo tutto suo per sfuggire alle brutture del mondo, a partire da quello più vicino a lei, ovvero quello del suo ambiente familiare.
Anche Enzo si crea un mondo tutto suo, ma è più disilluso, un mondo tetro e cinico; questo però non toglie che il nero della sua vita inizi a diradarsi non appena ha a che fare con Alessia.
Il suo essere al contempo sì infantile, ma anche convinta che aiutare gli altri sia sempre la cosa giusta da fare, scuote Enzo (che non è affatto immune al fascino femminile), che non riesce a restare indifferente alla sua purezza e bontà.

Per quanto coi suoi modi di fare cerca di respingere la giovane, magari provando ad aprirle gli occhi sul degrado e sulla cattiveria del mondo in cui Alessia vive, Enzo fallisce in questa “impresa”, e si lascia trascinare da lei, lasciando intuire a se stesso che c'è del buono in lui. Se lo spettatore lo immaginava sin dall'inizio – perché si suppone che il supereroe sia buono – Enzo capisce piano piano che la bontà albergava in lui, si ha un'evoluzione del personaggio graduale, non repentina, e questo è degno di nota.

Enzo dunque si ritrova a essere un supereroe suo malgrado, e per quanto gli risulta possibile, con i mezzi che gli sono propri, cerca di impedire che lo Zingaro riesca nella sua folle impresa. Continua sempre a essere di poche parole, ma quando racconta ad Alessia della sua gioventù a Tor Bella Monaca, ecco che si ha un dialogo incisivo e al contempo umano, che rivela che c'è davvero dell'umanità in lui, anche se non voleva farla trasparire.

L'evoluzione di Enzo si rivela anche sul profilo sentimentale. Lui ammette di “non saperci fare con le donne”; ma la tenerezza di Alessia lo scuote e anche lei a sua volta prova qualcosa per lui.
Si avvicinano sempre di più e lei gli confessa di aver subìto degli abusi ripetuti nel tempo e la sua innocenza e la sua purezza appaiono intoccati da Enzo che, nonostante tutto, agli occhi di Alessia resta il suo “salvatore”.

Il desiderio della ragazza di volere un vestito da principessa rivela ancora di più il candore di un'anima che nonostante tutto riesce a essere ancora lieta, a modo suo, ed è emblematico il modo in cui Alessia si rivolge poi a Enzo dopo che sono andati in un centro commerciale: è sì innocente, ma il suo passato la perseguita e questo la fa aggrappare ancora di più al mondo di fantasia che si è costruita.
Da qui si capisce che l'“assalitore del bancomat” ha dei sentimenti e vuole provare a concretizzare qualcosa.

Alessia è la luce che riesce a rarefare le ombre dell'animo di Enzo e questo si vede anche dal riflesso del suo spirito ovvero la casa di Enzo stesso: da quando c'è Alessia il tutto appare un poco più vivo, colorato, anche grazie all'acquisto della serie animata di Jeeg.

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Seguendo la storia ci sono dei momenti in cui sale anche l'ansia perché sai che di lì a breve succederà qualcosa, magari anche negativa: sai che succederà ed ecco che sale la tensione e per quanto lo si possa aver intuito ecco che quando accade non puoi comunque far a meno di esser stupito e di esclamare minimo un “oddio”. Il crescendo di emozioni è incisivo e le inquadrature usate per le scene d'azione sono efficaci, pare proprio di essere lì sulla scena ad assistere alle mazzate in diretta.

Le musiche (vi ho messo il link dell'album colonna sonora su Spotify) sono molto suggestive e sono in linea con l'avvenimento proposto sulla scena, riflettendo anche l'atmosfera generale della pellicola.
Enzo non ha un costume come tutti gli altri supereroi classici, e questa cosa mi è particolarmente piaciuta: non ha voluto essere un eroe e se dapprima vestiva di scuro continuando con la delinquenza, come mostrato nel suo character poster, ecco che poi indossa i colori della maschera fattagli da Alessia, che gli ha illuminato la vita.

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Cosa poter dire di più? Sono davvero molto contenta che finalmente in Italia sia stato prodotto qualcosa di bello, un film che non sia una ripresa sia a livello di ambientazione sia di contenuti a cose e luoghi a noi lontani o sconosciuti o noti soltanto grazie all'informazione globale.
Mainetti ci ha dimostrato come si possa rendere un supereroe italiano senza dargli un tono caricaturale oppure del tutto estraneo al contesto della nostra penisola.

La trama incalza, non vi sono buchi all'interno della narrazione, che risulta quindi chiara, precisa, con rimandi ed elogi sentiti, ma che non hanno alcun effetto discordante. Quello che era stato iniziato con i cortometraggi Basette e Tiger Boy, adesso con Lo chiamavano Jeeg Robot Mainetti ci regala un supereroe tutto nostro, per il quale parteggiare, che ci mostra che anche l'Italia può avere il suo eroe, per nulla lontano dalla vita vera.

Sono felice di averlo visto e, se avete l'occasione, andate a vederlo al cinema. Ne vale la pena.

venerdì 4 marzo 2016

Fenice Fangirl. #03

Su Facebook sta girando un tag molto carino e ringrazio Selene per avermi citata, di modo che potessi farlo anche io. Essendo un tag che parla di scrittura e di fanwriting, sono ben lieta di dire la mia, perché i miei fangirleggiamenti sono anche per ciò che concerne le fanfiction. Ho già detto che mi piace scrivere fanfiction, mi diverte farlo e mi rende contenta, e non lo negherò mai.

Sono una serie di domande a cui risponderò con assoluta sincerità. In alcuni casi ho lasciato il link ad alcune mie storie per far "toccare con mano" quello di cui stavo parlando. Eventualmente poi, chi vuole può rispondere alle stesse, come sempre, a me farebbe solo piacere leggere le vostre parole.

1) Nickname: il mio nickname è Layla Morrigan Aspasia (eventualmente col trattino basso se serve) in ogni dove, tranne che su EFP dove ho deciso di usare il nick _Branwen_ dopo una scelta che segna un punto di svolta nella mia vita.

2) Sito su cui hai postato la tua prima fanfic: EFP.
2a) Nick dell’epoca: Layla Morrigan Aspasia.


3) Cita il fandom, titolo, genere di una fanfiction che non dimenticherai mai: cito la prima, che porto sempre nel cuore, ovvero "Anima Persa" di LilythArdat. Dire che mi ha emozionato è poco, e dire che ho preso ad ammirare questa ragazza è la pura verità. Ho iniziato a dire a me stessa che mi sarebbe piaciuto esser brava come lei.

4) Un fandom di cui non hai mai scritto, ma ti piacerebbe: mi piacerebbe scrivere su Saiyuki, su Game Of Thrones (la serie, dato che Martin ha vietato le fanfiction sui libri: per quanto abbia deciso di non seguirla più il potenziale per scriverci su c'è), su Shingeki no Kyojin, e adesso direi anche su Bosch (non so se c'è la sezione dei libri, ma è indifferente).

5) A che età hai letto la tua prima rating rosso? Avevo diciannove anni, mi iscrissi su EFP allora, non prima. Non ero però a digiuno di storie con materia sessuale o con contenuti forti come violenza, morti o altro prima dei diciannove anni, leggendo Philip Roth sin dall'età di dodici anni e avendo letto I pilastri della terra a sei quello delle fanfiction a rating rosso non è stato il mio primo approccio all'eros scritto, come anche alla violenza e morti varie leggendo thriller.
5a) Ed è stata illuminante? La prima rating rosso mi piacque davvero tanto, fu anche emozionante e commovente oltre che ben scritta.


6) Personaggio che ammiri ma di cui non hai mai scritto per paura di sminuirlo: Ho avuto davvero, davvero tanta paura nello scrivere di Loghain (Dragon Age) in una storia introspettiva incentrata su di lui. Temevo che la sua caratterizzazione fosse sbagliata, che i suoi gesti potessero essere fuori dal personaggio... mi piace tanto come personaggio, ma a quanto pare le mie sono state paure infondate, secondo i pareri che mi sono stati dati. Questa paura però ritorna ogniqualvolta scrivo per la prima volta di un personaggio mai "utilizzato" prima.

7) Personaggio di cui vorresti descrivere la morte: ho il pallino di scrivere anche di cadaveri, quindi alcuni dei personaggi sono già belli che stecchiti; per ora non ho scritto ancora della morte di un mio personaggio o di un personaggio di un fandom, se si esclude una piccola flashfic con protagonista Kyuzo di Samurai 7 che è stato mortalmente ferito, ma non è ancora morto. Penso sia una delle storie brevi su fandom migliori che mi siano mai venute in mente.

8) Hai mai ucciso un personaggio? A parte i morti già morti (lol) no, non ancora.
8a) E com’è stato? Quando succederà sono sicura che una parte di me morirà con lui/lei.


9) Ti sei mai ricreduta su un personaggio di una tua storia? Non mi è mai capitato, ma sono rimasta sorpresa nel vedere i lettori che parteggiano per questo o quel personaggio con lo stesso slancio che ho io quando leggo un libro che mi coinvolge. Ne sono stata molto contenta.

10) Hai mai creato un OC? Mi è capitato di crearli e di inserirli nelle fanfiction.
10a) Se la risposta è sì, nome e cognome? Armando García Lopez.


11) Quale Avvertimento eviti in genere? Di solito evito le coppie che non mi piacciono. Non mi piace molto il rendere coppia alcuni personaggi che hanno interazioni non da coppia: come c'è il libero shipping io sono libera di non leggere di coppie che per me non sono tali.

12) Su quale Avvertimento sei curiosa/o di scrivere? Non saprei, non ci ho mai pensato, perché quando scrivo non penso agli avvertimenti.

13) Ironia, Sarcasmo, Commedia o Demenzialità? Se ben giostrati e resi mi vanno bene anche tutti insieme perché sarebbero la bellezza.

14) Pensa al tuo scenario AU preferito. Ora scrivi l’esatto opposto, quello che salti a piedi pari: il mio scenario AU preferito è il modern!thriller!AU, sempre e per e sempre. Invece tendo a evitare le wizardry school!AU dato che ho Harry Potter sui cosiddetti.

15) Scegli una canzone da cantare in mezzo alla strada con un personaggio: "Indestructible" dei Disturbed con Charlie.

16) Hai mai pensato/scritto di un/a amico/a rendendolo un OC? Sì, Armando è nato ispirandomi al mio migliore amico.
16b) Se no… prova! Coi nemici è più bello.


17) Qual è l’errore in questa domanda? Sarebbe stato l'apostrofo in "qual è". Ricordiamo che è un troncamento e quindi non vuole l'apostrofo come nel caso dell'elisione.

18) Dedica a tutti un consiglio grammaticale gratuito: la consecutio temporum è vostra amica, studiatela. Usate anche il vocabolario per non usare parole di cui non conoscete il significato e che mettereste a sproposito.

19) È nato prima il personaggio o la trama? Dipende: alle volte immagino solo la trama per prima, altre volte prima i personaggi, altre volte ancora tutto insieme, non c'è una regola fissa.

20) Hai un luogo dove sono le idee che rincorrono te e non viceversa? Un luogo specifico no, ma un tempo in particolare sì: quanto più si avvicina la data di un esame e più le idee si affollano nella mia testa. Stronzone.

21) Blocco dello scrittore: mi è capitato, in concomitanza con dei periodi della mia vita molto difficili.
21a) Quanto è durato? Otto mesi, direi.
21b) Rimedi? Consigli? Quando si ha un blocco non bisogna sforzarsi, è come quando si è stitici: se non si ha lo stimolo non si riesce ad andare in bagno. Bisogna scrivere per amore della scrittura e se non si ha nessuna idea o nessun input è inutile voler produrre il vuoto. Bisogna aspettare il momento propizio. A tal proposito voglio dire che non vale per tutti la faccenda del "si scrive quando si è tristi, quando si soffre, quando si è infelici": non è una cosa che succede a ogni persona. Se molti riescono a scrivere quando sono tristi o sofferenti, è altrettanto vero che molti altri quando soffrono non sono capaci di buttare giù una sola parola. Non è la sofferenza l'unica cosa in grado di far produrre arte. L'atteggiamento del voler denigrare gli altri anche in ambito scrittorio mi urta alquanto.


22) Prosa o poesia? Amo entrambe, la poesia è però il mio primo amore, e vorrei tanto riprednere a scrivere haiku.

23) Favola o fiaba? Entrambe.

24) Fonte/i di ispirazione? Libri, film e musica, specialmente quest'ultima. 

25) Cibo ideale mentre si scrive? Non mangio mentre scrivo, però bevo o del tè o del succo di frutta.

26a) Oggi aprirai l’armadio e sceglierai un vestito da donna per il tuo personaggio maschile preferito. Tailleur con gonna beige per Armando, con camicetta nera. Tacco 12.
26b) Oggi aprirai l’armadio e sceglierai un vestito da uomo per il tuo personaggio femminile preferito. Per Charlie direi proprio un bel completo elegante e costosissimi come quelli indossati dagli esponenti dell'alta finanza.


27a) Unpopolar opinion sulla caratterizzazione femminile: mi sono sinceramente stancata che tutti i personaggi femminili (a parte la protagonista) vengano dipinte con atteggiamenti che la protagonista definisce "da troia", quasi sempre esprimendo il parere di colei che scrive, specie se tentano un approccio con lo stesso ragazzo per cui la protagonista ha una cotta. Dico colei che scrive perché lo ritrovo specie in storie scritte da donne, ragion per cui poi io le chiudo e mando al diavolo tutto. E basta anche con la dicotomia ragazza fragile uguale donna che deve essere salvata dal protagonista e donna forte e determinata vista incompleta se non ha atteggiamenti "femminili" o non ha un compagno o una famiglia.
27b) Unpopolar opinion sulla caratterizzazione maschile: diciamo basta a voler giustificare la stronzaggine e la cattiveria di un uomo per via di un passato difficile, magari fatto di perdite, di lutti o di violenze subite. No, ci sono persone che sono cattive e basta. E magari diciamo anche basta a voler definire i gay come quegli uomini estrosi, dal timbro di voce acuto, che hanno sempre un foulard al collo e che dicono "quelle scarpe? Con quel vestito?". No, avete rotto.


28) Questioni di coppia (sì o no): sì.
28a) Amore a senso unico? La storia della mia vita fondamentalmente, più o meno, se ben gestito mi piace.
28b) Terzo incomodo? Ci sta, ma non come negli young adult o negli urban fantasy.
28c) Threesome? Certo.
28d) Sessualità varia ed eventuale? Più varia è meglio è.
28e) Amore epico? Perché no?
28f) Platonico? Sì, esiste anche questo.
28g) Finché morte non li separi? Sì e no, dipende. Sono una sognatrice, ma anche cinica, quindi vai di angst.


29) Qual è il tuo tallone d’Achille nella scrittura? Non sono mai soddisfatta di come mi vengono le scene d'azione.
29a) Ti dicono mai il contrario? Sono state anche apprezzate, ma so che potrei fare molto di più e spero di migliorare.


30) Pensi che i tuoi lettori/commentatori occasionali siano sinceri? Me lo auguro perché sarebbe in caso contrario una perdita di tempo e nemmeno tanto bello per entrambe le parti.

31) Pensi che uno scrittore potrebbe non sopportare il tuo parere negativo? Dipende da chi ti trovi davanti. Nelle mie critiche tendo a essere quanto più oggettiva e obiettiva, ma educata e umile, perché voglio comportarmi così come io pretendo che si comportino gli altri con me. Se poi dall'altra parte mi trovo davanti uno stronzo che pensa di essere il novello Eco allora poi mando a fare in culo, perché con certa gente a lavare gli asini perdi tempo, acqua e sapone.

32) Shot di opinioni (in una parola): "Minchia", come dice Coliandro, che può essere sia in senso positivo sia negativo.
32a) Trama ideale? Angst a palate, con introspezione ben fatta, personaggi ben caratterizzati, un mix adatto di narrato e di mostrato. I personaggi devono essere umani, non perfettissimi, con debolezze, vizi, paure. Ci tengo.
32b) Personaggio ideale? Una persona cinica, ma idealista, che non vuole essere necessariamente un legale buono a tutti i costi, una persona che pur di fare ciò che reputa la cosa giusta sa anche che può fare sacrifici, e li fa. Per fare esempi un Harry Bosch, un Gregory House o un Enzo Ceccotti (non sono presa da Lo chiamavano Jeeg Robot no no, ma quando mai!).
32c) Stile ideale? Sono molto eterogenea come lettrice. Un esempio di amore sommo è sempre Philip Roth.
32d) Difetto adorabile di un personaggio? L'ingenuità davvero tale, e non che maschera la cattiveria.
32e) Virgola ideale? Messe non per sport, ma al posto giusto, con criterio.
32f) Cattivo ideale? Che sia malvagio, ma che sia intelligente, non un caotico malvagio alla cazzo di cane. Una persona determinata, ambiziosa, che sa cosa vuole e come ottenerla. Che sia logico e coerente col suo modo di fare, anche se significa mettere il mondo a ferro e fuoco.
32g) Climax ideale? Lo spannung per me può venire sia da un climax di ansia ben resa e dilatata nel tempo sia da un inizio piatto e da una situazione inaspettata che però è fondamentale, ma mai esagerata e poco adatta al contesto.
32h) Personaggio secondario ideale? Il migliore amico, quello culo e camicia, sempre e per sempre.
32i) Inizio ideale? Incipit in medias res, con descrizione incisiva, se si tratta di narrativa classica, o di un thriller. Prima frase a effetto nelle storie introspettive. Dipende dal genere, sostanzialmente, ma deve esser capace di attirare la mia attenzione.


33) Saluta con una citazione colta sulla scrittura: Io sono vivo, ma non vivo perché respiro, mi sento vivo solo se sfilo la stilo e scrivo. Caparezza docet.