venerdì 12 febbraio 2016

"Fantozzi", recensione libro.

Era da tanto che desideravo parlare di questo libro, probabilmente perché la visione dei film ha segnato la mia adolescenza, rendendomi la persona che sono oggi, nel bene e nel male, è il caso di dirlo.

Non credo ci sia molto da dire per una presentazione, il titolo parla da sé. Tutti probabilmente, almeno una volta nella vita, abbiamo sentito parlare del ragionier Ugo Fantozzi.

Quello che probabilmente molti non sanno, è che vi sono i libri sul nostro Ugo, scritti proprio dall'attore che lo ha interpretato successivamente sul grande schermo: Paolo Villaggio.

L'autore: Paolo Villaggio (nato a Genova il 30 dicembre 1932) è un attore, scrittore e sceneggiatore italiano, che ha ricevuto il Leone d'oro alla carriera, risultando tuttora l'unico attore comico a esser stato insignito del riconoscimento.
Ha lavorato con Federico Fellini, Marco Ferreri, Lina Wertmüller, Ermanno Olmi e Mario Monicelli, per citare alcuni mostri sacri del cinema e ha creato alcuni personaggi comici come Giandomenico Fracchia e il professor Kranz oltre a Fantozzi, di cui indosserà i panni in dieci film.
Oltre a Fantozzi, Il secondo tragico libro di Fantozzi, Le lettere di Fantozzi, Fantozzi contro tutti, Fantozzi subisce ancora, Fantozzi totale, ha scritto altri libri comici, umoristici anche sotto forma di saggi tra cui Come farsi una cultura mostruosa, Lei non sa chi eravamo noi, La vera storia di Carlo Martello, Storia di donne straordinarie, Giudizio universale.

La trama: in questo primo volume di racconti conosciamo Ugo Fantozzi, la sua famiglia, il suo lavoro, le persone con cui interagisce e le sue famosissime disavventure. Come ho già detto, non ha senso dire più volte l'ovvio.

La recensione: ciò che mi preme sottolineare sin da subito è che, anche qui, come quando ho parlato di Faletti, potrebbe saltare fuori la questione “ecco un altro dello spettacolo che vuole fare lo scrittore”, ragion per cui lo si può stroncare senza aver letto nulla di suo, un poco come si sta facendo in questi giorni parlando del nuovo film di Checco Zalone (e state pur certi che ne parlerò, appena avrò occasione; sarà un discorso ben ragionato) senza averlo visto, ma dicendo che è uno schifo perché sputare merda su un qualcosa di ignoto è chic come lo è anche paragonare film diversi, vedasi Il risveglio della Forza, tanto per restare nell'attuale e tanto per mettere i puntini sulle “i”.

Ebbene, non troverete mai la sottoscritta che condanna qualcosa se non lo ha letto o visto; penso sia bene rimarcarlo, non si sa mai.

Questo primo libro delle tragicomiche avventure di Fantozzi ci colloca direttamente nella vicenda, e ciò che accade viene descritto in modo semplice, chiaro, ma dal buon impatto associativo e che permette di immaginare chiaramente la situazione.

L'idea nacque dai monologhi di Fantozzi che Villaggio pubblicava su L'Europeo e col tempo il personaggio stesso ha assunto connotati più definiti, precisi, come per esempio le sue caratteristiche più note che dapprima erano vaghe; successivamente saranno anche delineati anche tutti i personaggi che accompagneranno il protagonista. 

Avete presente i film? Il libro è strutturato proprio come se non chiedesse altro di essere sceneggiato. Gli episodi non sono più lunghi di alcune pagine, concepiti come una sorta di sketch comici su carta, la cui brevità è essenziale, per non annoiare il lettore, ma che se letti tutti uno dopo l'altro hanno una loro continuità.

Alcune – non tutte, precisiamo – scene comiche lo sono già di loro per via dell'effetto caricaturale dato dalle espressioni che sconfinano nell'assurdo, e sono proprio le stesse che ritroviamo nei film, corredate anche di quelle esatte battute.
Non nascondo di aver ulteriormente riso perché immaginavo, nel leggere quelle parole, di udirle proprio con la stessa voce e intonazione del Fantozzi a noi noto su schermo.

Stessa cosa per le descrizioni, sono ridotte all'essenziale, ma al tempo stesso precise quanto basta per farti figurare la scena, l'avvenimento, i dettagli... per poi ridere.

Lo stile adoperato è molto semplice, alla lettura salta all'occhio la struttura “soggetto, predicato e complemento”, le frasi sono quasi tutte coordinate, la subordinazione è pressoché assente e vengono usati termini di facile comprensione. Trattandosi comunque di un ragioniere, si adopera anche il registro impiegatizio e di tanto in tanto alcune parole molto più specifiche che sono comunque corrette nel contesto, ma sembra il latinorum di Don Abbondio per Renzo (per esempio “metodo montessoriano”): è uno dei modi adottati per suscitare il riso.

Se ve lo state chiedendo: sì, anche nel libro crollano tutti sui verbi. Ci sono i famosi congiuntivi passati alla storia e oggi utilizzati proprio come intercalari o citazioni come il “venghi”, “dichi” o “vadi, vadi!”.

Degna di nota è la prima che cosa che Fantozzi – anzi, proprio Paolo Villaggio – ci insegna nella premessa, sin dalla prima pagina, ovvero quello di essere leccaculo coi potenti o, per meglio dirlo con parole sue: vischiosi, servili e sempre d'accordo anche su posizioni “fasciste”.

Il potente che vessa Fantozzi – e con lui tutti i poveri lavoratori come Ugo – è un'astrazione kafkiana, il simbolo di qualcuno o qualcosa che non difenderà mai abbastanza le persone che sono a lui sottoposte, con la conseguenza che Fantozzi stesso vive in una struttura-società che non ha bisogno di lui: riesce a capirlo, lo riconosce e ne ha paura.
L'intento del libro non è solo quello di strappare una risata, dunque, e ne parlerò più in là.

Le vicende sono narrate in terza persona, la voce narrante è quella di Paolo Villaggio che non nasconde di essere, tra quelle righe, il titolare dell'azienda.
Le storie del tristemente noto Fantozzi ci sono presentate nientemeno che dal mega direttore galattico in persona, quell'entità che ci è sempre stata ignota nelle trasposizioni cinematografiche. Viene detto molto chiaramente e si nota come una voce esterna riesce a essere praticamente asettica nel raccontare ciò che accade senza il minimo coinvolgimento emotivo, cosa che non avremmo mai avuto se la voce narrante fosse stata quella del buon Ugo, o magari sua moglie. 

La “comicità” dunque è data dalla vicenda unita al linguaggio, ma il narratore è del tutto esterno ai fatti e non prova né pietà né simpatia per Fantozzi.

La serie di racconti davvero brevi appaiono sì come degli sketch comici che sì vogliono suscitare ilarità, ma al contempo offrono spunti di riflessione, se ci si sofferma un ulteriore istante. Si parla con ironia anche dei vizi e delle virtù degli italiani, mescolando così comicità e umorismo, con un tono anche molto pungente, oltre che cinico.

È palese anche il voler giocare su dei luoghi comuni iperbolizzati come il notare cento giapponesi in un metro quadro di spazio. Fantozzi capisce che non è Tokyo a essere una grande città, ma che i giapponesi sono piccoli al punto tale da essere stipati come sardine in poco spazio.

Se pensiamo a Fantozzi e Fracchia (appare anche lui in questo primo libro per poi venire del tutto assimilato nel personaggio di Filini, l'organizzatore di eventi, un PR con gli occhiali che sono dei fondi di bottiglia) che fanno sport con gli scarponi della Prima Guerra Mondiale, giacca da prima comunione, pantaloni ascellari... vengono subito alla mente le immagini dei personaggi, come sono stati rappresentati nei film e ridi, almeno per un po', perché poi si può pensare a quanto doveva essere difficile il voler compiacere il capo appoggiando le sue idee strampalate come la partita di calcetto (e a te viene il fiatone dopo aver dato solo un calcio al pallone), la scampagnata in montagna e così via.

Certamente ricorderete la signorina Silvani – a tal proposito, potete sentire Villaggio e Anna Mazzamauro in veste di doppiatori in Senti chi parla 2, con risvolti davvero esilaranti – che, a quanto pareva, era molto più bella e affascinante della signora Pina (ormai è un topos ricordarla con la definizione “dai capelli color topo”), ma nel libro... tanto bella rispetto a Pina non mi è sembrata proprio.

A quanto pare al ragionier Fantocci – mai chiamato così nel libro – intrigava di più il fatto che fosse dodici anni più giovane di lui. 

Intanto Pina viene ritratta come una donna che si beve ogni balla raccontata dal marito, certo... credeteci, e io sono bionda platino.

Può capitare di ridere di tutti i tentativi di approccio falliti di Fantozzi, ma arriva anche il momento in cui inizi a pensare che tutto ciò è molto triste se una persona è così insoddisfatta di sé e della propria vita.
Perché mi sto fissando a parlare dell'umorismo? È presto detto.

Fantozzi è il grande “perditore” indistruttibile.
Fracchia (interpretato sempre da Villaggio nei vari film in cui compare, che sono slegati dalla saga fantozziana) è timido, sfortunato, goffo e servile, come Ugo, con la differenza che è celibe e nacque proprio come “compagno di sventura” di Fantozzi.

All'inizio, se noterete, nel libro si ha Fracchia che, incarnando la quintessenza dell'inetto totale, è davvero remissivo e sottomesso al suo scarognato destino.
Fantozzi – quello dei primi film e delle prime scene del libro – non lo era poi tanto, in lui si vedeva un'ombra di intraprendenza: appariva di rado, ma era presente.
Si giunse poi a unire Fracchia con Fantozzi, che divenne l'uomo con la tara incancellabile, nemmeno se fosse il protagonista di una tragedia greca o del francese Racine, con la differenza che rispetto agli eroi tragici Fantozzi è un vigliacco, e pare essere psicologicamente masochista dato che si fa mettere i piedi in testa da tutti.

È il prototipo dell'uomo medio italiano, di estrazione piccolo-borghese, vessato dalla società che comunque cerca riscatto, non riuscendoci data la sua inerzia di fronte al destino; il personaggio risulta sia comico sia tragico e non è capace di raggiungere un'armonia dentro e fuori di sé, con gli altri.
Ne esce fuori il ritratto di un piccolo "uomo senza qualità", mediocre travet, sempre oppresso dai suoi superiori e assolutamente incapace di vivere in armonia con sé e con gli altri. Secondo le parole del critico cinematografico Paolo Mereghetti: “Fantozzi, come la maggioranza dell'umanità, non ha talento. E lo sa. Non si batte per vincere né per perdere ma per sopravvivere. E questo gli permette di essere indistruttibile. La gente lo vede, ci si riconosce, ne ride, si sente meglio e continua a comportarsi come Fantozzi”.

Il libro illustra in maniera ancor più chiara la natura del protagonista: Fantozzi è un personaggio debole. La sua debolezza consapevole lo rende servile, sempre terrorizzato dai suoi superiori, mentre essendo timido e impacciato fino al catastrofico, non ha modo di avere degli slanci intraprendenti.
Si presenta quindi come vittima naturale dei mass media, del consumismo e della pubblicità televisiva, tragicamente incapace di adeguarsi ai modelli sociali che mitizza quotidianamente.

Insomma, il povero Ugo potreste trovarlo in studio dalla D'Urso che, con il suo pianto facile, fa ulteriormente commuovere sulle disgrazie del poveraccio, ma alla fine una soluzione ai problemi della vita non si trovano ugualmente. Si è sempre allo stesso punto, non c'è mai un piccolo progresso.

Avremmo anche i novantadue minuti di applausi dopo aver visto “La corazzata Kotiomkin”, la famosa cagata pazzesca: è una delle pochissime occasione di rivalsa. Sono però troppo poche perché si possa anche solo pensare che Fantozzi stia facendo un passo avanti.

Alle volte, raramente, ci sono dei momenti di tenerezza tra Pina e lo scimpanzé ovvero Mariangela, che i coniugi, così come dovrebbe essere per tutti, pensano che sia la creatura più splendida del mondo.

Da alcuni anni, il personaggio di Fantozzi è stato accostato da numerosi sociologi, tra cui Domenico De Masi, a casi di cronaca relativi al mobbing, che non è soltanto la vessazione psicologica da parte del datore di lavoro, ma anche da parte dei colleghi. Lui è stato l'esempio ante litteram.

Fantozzi, grazie alla popolarità che ha acquisito col tempo, è diventato un vero e proprio cult; basta solo pensare al fatto che è stato inventato l'aggettivo “fantozziano” che come dice lo Zingarelli può significare: “persona che ricorda i modi goffi e impacciati del ragionier Fantozzi” o anche di “vicenda o situazione fantozziana”, vista come sinonimo di “tragicomica” o “grottesca”.

Lo consiglio se si vuole fare un tuffo in uno specchio dell'Italia del passato che ancora oggi sente di avere la “nuvoletta da impiegato” su di sé.

Mi rendo conto che Fantozzi può piacere come può non piacere, però trovo doveroso riconoscere il merito di come abbia dipinto la società del tempo.

La ragione discordante di un eventuale gradimento della serie è perché al di là della risata, non si può far a meno di parteggiare per Ugo, per le sue disavventure, quindi assieme al riso è inevitabile la comprensione e la compassione nei suoi confronti, se si è dotati di empatia e di spirito di riflessione.

A tal proposito, voglio fare una piccola digressione, citando Bergson e Pirandello.

Bergson nel suo Il riso. Saggio sul significato del comico affermava che per ridere, il riso e la comicità si avvalgono del sentimento di temporanea insensibilità che alberga in noi quando ridiamo, ovvero si ha una temporanea sospensione del giudizio e della nostra solita adesione emotiva che ci permette per un attimo di assistere come spettatori indifferenti e non coinvolti quindi leggere/vedere una vicenda comica ci porta a ridere perché per un istante siamo a distanza da ciò che accade, una sorta di estranei, che si rallegrano di ciò a cui assistono perché questa distanza di sicurezza ci fa alleggerire i timori.

Pirandello asseriva che con l'avvertimento e sentimento del contrario l'ilarità deriva dall'avvenimento che osserviamo, lo troviamo comico e si inizia a ridere, ma subito dopo sopraggiunge l'umorismo che porta a riflettere su quello che abbiamo visto in precedenza, quindi dapprima si ride e poi si comincia a pensare.

Pur vivendo in un mondo che mostra volentieri il suo volto surreale in situazioni e personaggi spinti leggermente al limite dell'inverosimile, la sua vita e il contesto che lo circonda ricorda davvero quello della classe impiegatizia che dagli anni Settanta agli anni Novanta ha lavorato in aziende grandi e alienanti, sommando nelle loro vite grame condizioni economiche e vaghe aspirazioni spesso fallimentari per avere il famoso “qualcosa in più” per vivere in condizioni più agiate.

Tantissime famiglie italiane di quegli anni conoscevano il rituale mattutino della preparazione lampo per correre in ufficio, il veglione di capodanno e lo squallore delle situazioni, la partita dell'Italia con “spaghettone aglio olio e peperoncino, birrona gelata e rutto libero”.

Su Fantozzi era facile scaricare le ansie inconsce di tanti sia quelle più personali (quindi diffuse e dolorose che richiamano il senso di inadeguatezza e di sfortuna) sia quelle più legate a un contesto sociale di partenza, che per i borghesi appare incolmabile verso quella che viene chiamata “scalata per l'ascesa”.

Sarà forse per questo che se molti con Fantozzi si sbellicano dalle risate, molti non riescono proprio a ridere perché lo trovano deprimente.
Ha affrontato molti temi in salsa agrodolce, con avvertimenti e sentimenti del contrario.

Con lui si possono esorcizzare le paure familiari, lavorative, amicali, scaricando tutto con una risata e usare l'ironia (“com'è umano lei!”), ma dall'altra parte il sentimento del contrario dà una forte identificazione col personaggio, ragion per cui ci mettiamo a soffrire per le sue sventure come se ci riguardassero, senza avere la distanza necessaria per riderne.

domenica 7 febbraio 2016

Fenice Fangirl. #03

 TAG: Le Dieci Regole d'Oro della Fangirl.
Guida alla Fangirl: dieci piccole regole per vivere bene il tuo essere fangirl.

Grazie alla cara Leticia e al suo blog, vi presento la mia replica al suo tag (che trovate nel collegamento ipertestuale messo su) e trovo sia un'idea molto carina. Come sempre, se vi fa piacere, potete dire la vostra in qualsiasi momento; mi raccomando, se lo fate, citate Leticia, è lei che ha avuto questa pensata e sarebbe bello oltre che giusto darle credito.

Ovviamente so bene che ci sono anche i fanboy: pare che siano rari, semplicemente perché secondo me ammettono molto più difficilmente non tanto l'essere fan di qualcosa, ma di ragionare e fantasticare su qualcosa che piace tanto. Non sono creature leggendarie, basta solo cercare e si trovano anche loro (se ammetteste di esserlo però ci fareste un piacere) e io se uso il termine "fangirl" è perché è di uso maggiore, non discrimino nessuno.

Devo ammettere aver pensato parecchio a quelle che possono essere per me dieci regole per godermi al meglio il mio essere fangirl perché, a primo impatto, mi viene da dire che non ci sono regole. Essendo una persona che non ama le imposizioni, non mi andrebbe mai di definire delle regole, almeno in questa occasione di svago e divertimento. Continuando a pensarci, dieci "regolette" sono apparse nella mia testa; sono delle regolette derivate dalla mia esperienza di fangirl perché col mio essere molto trasparente (persino nei fangirleggiamenti) alle volte sono incappata in situazioni che forse avrei potuto evitare. In questo caso il "forse" è d'obbligo perché ci sono cose che vanno al di là della nostra comprensione, tipo la stupidità e la cattiveria altrui.

Ecco a voi le mie dieci regole, che sono ovviamente più consigli che regole vere e proprie. Spero non siano soggette a giudizi, prendetele con leggerezza. Sicuramente, per averci riflettuto, potrebbero essermi d'aiuto, visto che non si finisce mai di crescere. Cercherò di inserire anche la mia esperienza per vedere come sono arrivata a questo ragionamento.

1.  Scegli come vivere la tua vita da fangirl.
Detto così sembra che si abbia una doppia vita e in effetti è così se si sceglie di separare la propria indole da fangirl col resto della vita quotidiana, specie sui social network. Questa è e resta sempre una scelta personale su cui nessuno può sindacare. Se si vuole tenere separate le due cose si può avere il "vantaggio dell'ignoto" (io lo chiamo così) ovvero il fatto che le persone con cui si ha a che fare tutti i giorni (genitori, colleghi, parenti, persone varie con cui spesso si parla per cause di forza maggiore, ecc.) non sappiano nulla delle tue passioni. Si tratta di un modo per proteggersi dagli attacchi gratuiti e dalle prese in giro, specie se supponiamo (a ragione) che le nostre passioni verrebbero attaccate e non capite.

Dall'altro lato si può scegliere di non separare le due cose e di ammettere tranquillamente cosa ami di più e non nascondere il tuo essere fangirl; in questo caso se si incontrano persone che ci denigrano si possono avere più modi per comportarsi di conseguenza ovvero reagire per non farsi abbattere dalla cattiveria ricevuta oppure iniziare a ricorrere alla privacy sui social per schermarsi. Va da sé che si può scegliere in qualsiasi momento di crearsi un piccolo angolino privato oppure ammettere a gran voce quali sono le proprie passioni. Sta sempre al singolo.

Io non ho mai nascosto chi sono, cosa mi piace e persino come mi chiamo. Ho sempre detto che mi piace scrivere, che amo leggere, che sono una fangirl. Mi è capitato di esser presa in giro dai colleghi (studenti universitari, non ragazzini delle medie) perché mi diverto a recensire e quindi sono giunta a un compromesso. Ho creato uno spazio solo per essere fangirl e del tutto me stessa, non escludendo però le persone a me più care della vita di tutti i giorni perché una delle mie migliori amiche l'ho conosciuta all'università, ma non mi ha mai preso in giro per quello che amo. Gli stronzi li ho bloccati, e non possono nemmeno trovare il mio nuovo account.

Ho iniziato solo a essere più selettiva con le persone, ma non negherò mai cosa mi piace. Sicuramente questo modo di fare può esser visto come freddo, scostante, antipatico (tendo molto a esser diffidente sulle persone aggiunte sui social specie se si comportano in date maniere che non tollero, e ve ne parlerò prossimamente), però mi evita un sacco di rogne che prima trovavo a ogni passo. 

Si può dire che ho raggiunto un buon equilibrio (o compromesso) tra i due modi di fare e non mi sta affatto stretto.

2. Crea delle priorità.
D'accordo, nella vita ognuno di noi sceglie come investire il suo tempo, come meglio crede, però io sono del parere che non sia sbagliato avere delle priorità. Prima il dovere (come lo studio) e poi il piacere. I fangirleggiamenti sono un modo di svago e di divertimento, sono sacrosanti e legittimi, però non devono prendere il sopravvento sulla scuola, sulla famiglia, gli amici, impegni vari.

Mi rendo conto che spesso almeno una volta nella vita ognuno di noi ha pensato che sarebbe bello avere amici fan di qualcosa anche nel quotidiano e che quindi si può essere fangirl anche nella vita di tutti i giorni: la solitudine sa essere molto brutta alle volte, lo so bene. Mi rendo anche conto che si può fare un tentativo con le persone che si conoscono davvero e chiedere loro se piace questo o quello, magari potete iniziare a conversare e scoprire di avere una fangirl anche nello stesso banco! Se così non dovesse essere... almeno ci avete provato, quindi si può capire il vostro attaccamento ai social per interagire invece con fangirl lontane. Potete sempre farlo, ma il limite tra la realtà virtuale e quella concreta deve esserci sempre. Ne va della propria salute perché i social sono causa di molto stress specie tra gli adolescenti e possono provocare ansia e depressione in chi investe molto tempo su di essi.

3. Attenzione alle persone la cui realtà è distorta.
Questa regola è collegata alla precedente. Col tempo si può avere una realtà distorta delle cose, come se non si sapesse più dove inizia la vita reale e dove finisce quella da fangirl. Si possono anche avere persone che approfittano della realtà virtuale per fare del male. Bisogna stare attenti alle persone che cercano di usare i social e nomi di personaggi di fantasia per adescare ragazzi e ragazzi (ce ne sono davvero tanti di maniaci), bisogna stare attenti ai bulli virtuali ovvero i classici leoni da tastiera che hanno il coraggio di dire cose (specie ignoranti e prive di fondamento) solo perché sono protetti da uno schermo e quindi non sai chi siano davvero oppure abitano troppo lontano da te. Bisogna stare anche attenti ai social justice warrior, che sono persone che non solo non riescono ad argomentare le loro idee civilmente, dicono cose che non stanno né in cielo né in terra, perché seguono passivamente l'idea che hanno letto da qualche parte e non si sono mai premurati di vedere se ciò risponde al vero oppure no. Tendono a vedere frammenti di discriminazione e odio in libri/serie/videogiochi/tutto lo scibile umano laddove non ce ne sono davvero e laddove con un poco di criterio e di senso critico si capirebbe benissimo.

Mi raccomando, state sempre molto attenti a chi vi aggiunge sui social. Se vi risultano molesti non fatevi scrupoli: bloccate questa gente in tronco. Avete il diritto di svagagarvi, non di essere tormentati.

4. La parola chiave è "rispetto".
Esprimere le proprie opinioni per cercare uno scambio costruttivo può avvenire solo se si è educati e rispettosi del prossimo. Se cerchiamo il dialogo dobbiamo essere disposti ad ascoltare anche l'altra persona; nessuno è obbligato a sentirci, si diventa interlocutori senza insultarsi. Nel momento in cui accade che non sei rispettato né tu né la tua opinione allora cambia aria e saluta questa gentaglia. Se hai già tentato un confronto civile e ti rendi conto che l'unica cosa che vorresti fare (data la maleducazione e l'ignoranza) è dare una randellata in testa a queste persone. L'unica cosa da non fare è abbassarsi a offendere come fanno loro.

Vivere il fandom significa stare sereni e divertirsi, quindi le persone pessime non dobbiamo trovarle. Puoi rimuovere dai contatti, bloccarli, come ti pare. Io non trovo che il blocco sia una cosa infantile, abbiamo già da sopportare nel quotidiano persone con cui spesso non puoi fare a meno di stare (familiari, colleghi...), almeno nello spazio virtuale possiamo stare più comodi.

5. Attenzione al fandom disagiato: potresti diventarlo anche tu.
Nella parte disagiata di ogni fandom si trovano persone del punto 3 e del punto 4, piano piano diventa più facile evitare le persone che rispondono a questa descrizione. Bisogna stare attenti anche a non diventare noi parte del fandom disagiato. Se si ha in mente la parola chiave, ovvero "rispetto", bisogna poi anche metterla in pratica. 

6. Bisogna sempre distinguere tra soggettività e oggettività.
Non lo dirò mai abbastanza: si può essere oggettivi anche nella propria soggettività. Innanzitutto vi rimando a questo post e quest'altro post dove faccio capire meglio cosa intendo.
Il gusto è il soggettivo, la critica ragionata è l'oggettivo. Vi porto un esempio: io amo i film con Bud Spencer e Terence Hill. Mi fanno morire dal ridere e quando sono giù di morale ne metto uno e, anche se li ho visti tante volte, mi strappano sempre delle risate. Mi piacciono e mi divertono tanto. So bene però che non sono capolavori, e lo dico io per prima, adducendo anche quelle che sono le motivazioni. La me soggettiva li ama, la me oggettiva li giudica, ma non per questo sono in conflitto con me stessa.

Ritengo che essere critici, ovvero imparando a essere oggettivi, conservando comunque la propria soggettività, è un modo per crescere. Non bisogna mai nascondersi dietro il "ma ognuno ha i suoi gusti" per difendere l'orrido. Potrà piacere o non piacere una cosa, è giusto così, ma urlare al capolavoro per qualcosa che non lo è... non è molto intelligente.

Per me l'onestà intellettuale deve esserci sempre, non posso transigere. Del resto, sono le mie regolette.

Dire, per esempio, che le cinquanta fognature sono meraviglia e quella è la storia di un vero "ammmore" per me è sintomo e segno che non si è letto con criterio oggettivo.

7. Non giudicare le persone che amano il NSFW.
Per estensione potrei dire direttamente "non giudicare" e basta, però faccio leva sul NSFW per una ragione in particolare.

Come ho detto tempo fa (e non mi stancherò mai di ripeterlo), l'eros nell'arte è un tema come tanti altri. Possiamo avere opere erotiche pregevoli o scadenti, come in ogni cosa, e su questo non si discute.

Quello su cui voglio mettere l'accento è la concezione che riassumo in queste parole: persone a cui piace l'eros nell'arte uguale persone deviate e malate.

L'apprezzare l'erotico non è un qualcosa da condannare e soprattutto non è indice di devianze sessuali o parafilie sempre presenti.

Nella fattispecie non si deve condannare una fangirl (in questo caso specificatamente di sesso femminile) se ama l'erotico reputandola "troia", "cagna" e tanti altri begli epiteti del genere. Non nascondiamocelo, quante volte si è sentita una cosa del genere?

Lo dico senza giri di parole: se siete persone che utilizzano queste parole come pane quotidiano per denigrare una donna girate al largo dalle mie piattaforme. 

Una donna è libera di vivere il sesso come meglio l'aggrada senza che le persone giudichino. Quello che una persona fa nel proprio letto è soltanto affar suo, qualunque sia il proprio orientamento sessuale o la sua identità di genere.

Per ciò che concerne me non nascondo di apprezzare l'erotico fatto bene (sono molto critica, al mio solito) così come il sesso nel rispetto del mio corpo, della mia persona, consensuale, in modo del tutto sano e sicuro anche dal punto di vista della contraccezione e della prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili. La mia affermazione non è condizione necessaria e sufficiente per anche solo pensare chi io sia e come sono: va da sé che i giudizi su di me sono dovuti solo alla mia coscienza.

Non esiste che qualcuno faccia da giudice, giuria e boia agli altri. La parola chiave è sempre "rispetto", è il motore di tutto. Senza il rispetto non si va da nessuna parte. La tua libertà di parola, e con essa tutte le libertà di espressione, è tale fin quando non ledi gli altri.

8. Informati.
Sei nuovo di un fandom o non conosci determinate cose? Ecco, non sapere non significa che tu debba vivere nell'ignoranza se qualcosa ti piace, anzi, dovrebbe essere uno stimolo per conoscere. Inizia dapprima a informarti per conto tuo (Google in questo caso è tuo amico) e poi se non capisci chiedi a chi secondo te ne sa di più. Dico così perché non sempre si trovano persone disponibili a spiegare le cose e anche perché la pigrizia è brutta. Scoprire e capire le cose da sé è molto più bello, oltre che soddisfacente.

9. Metti da parte la timidezza.
Un fandom può essere l'occasione giusta per fare nuove amicizie. Se pensi che possa essere interessante parlare con una determinata persona... prendi un poco di coraggio e inizia a interagire. Ovviamente questo non significa "stalkerare" la persona o pretendere di essere grandi amici da subito, ognuno ha tempi e modi per parlare e fare confidenza: è una cosa da rispettare. Considerando che, come ho detto prima, si possono nascondere soggettoni... non si deve correre troppo. Se poi vedi che dall'altra parte non c'è interesse non fa niente, ci hai provato. Anni fa mi permisi di scrivere un messaggio su faccia-libro a una ragazza che mi ha fatto davvero emozionare con le sue storie. Col tempo abbiamo iniziato a parlare e ho preso a volerle molto bene. Il mio migliore amico l'ho conosciuto grazie a un fandom, pensate un poco.

10. Divertiti.
Il fandom è una distrazione, un piacevole svago; l'ho già detto, ma non mi stancherò di ripeterlo. Goditi il sano divertimento, fangirleggia su avvenimenti, su personaggi, sulle ship, anche se sono sfigate o il fandom è poco frequentato. Divertiti a chiacchierare con gente rispettosa, scherzate, inventate storie, date vita a headcanon, tutto quello che vi pare, senza farsi influenzare dalle altre persone. Vivere al meglio un fandom vuol dire essere anche liberi di poter esprimere se stessi e la propria creatività.

sabato 6 febbraio 2016

Occhio SISMico. #02

12654703_10208654087933666_6673638877626696990_n.jpg 

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 6 febbraio la Giornata internazionale della tolleranza zero nei confronti delle Mutilazioni Genitali Femminili (MGF), facendo appello agli Stati membri, alla società civile e a tutt​e​ le parti interessate (quindi anche i singoli, perché è una cosa che riguarda tutti) al fine di attivarsi nel potenziare campagne di sensibilizzazione e per intraprendere azioni concrete contro la MGF.

Ho detto proprio che può riguardare i singoli. Ebbene sì: se noi sappiamo qualcosa, se conosciamo, possiamo impegnarci, nel nostro piccolo, per fare qualcosa. Non bisogna mai pensare "tanto queste cose non capitano dalle nostre parti, quindi chissenefrega", assolutamente no. Questo modo di ragionare è del tutto sbagliato. Il fatto che un avvenimento sia lontano dalla nostra realtà non è mai una scusante per non interessarsene o per agire, anche con gesti che sembrano molto piccoli. Se la si pensa così allora vuol dire che crediamo che ci sono persone di serie A e di serie B e queste ultime sono quelle che vedono i loro diritti negati, quelle che vengono torturate senza ritegno, quelle di cui noi sappiamo qualcosa grazie al telegiornale, ma tanto a noi sta bene così, perché non siamo noi quelli che soffrono. Fin quando la si pensa così non si andrà molto avanti.

Cosa sono le MGF? Perché questa pratica va combattuta? Questo è un estratto del rapporto del Ministero della Salute del 6 settembre 2006, che si può leggere e scaricare.

Con l’espressione mutilazioni genitali femminili si fa riferimento a tutte quelle forme di rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni o altre modificazioni indotte agli organi genitali femminili, effettuate per ragioni culturali o altre ragioni non terapeutiche. Vari sono i tipi di mutilazioni genitali femminili, con diversi livelli di gravità, di cui la più radicale è comunemente chiamata infibulazione. Questa è una pratica diffusa prevalentemente dell’Africa Subsahariana, ma che si conosce in Europa e anche in Italia grazie al fenomeno dell'immigrazione.

L’OMS stima che sono dai 100 ai 140 milioni le donne nel mondo sottoposte a MGF e che le bambine (sì, bambine) sottoposte a tali pratiche sono, ogni anno, circa 3 milioni. Le MGF sono diffuse in 28 Paesi africani e in Medio Oriente (Iran, Iraq, Yemen, Oman, Arabia Saudita, Israele), ma alcune tracce di questa pratica disumana la ritroviamo anche in alcuni paesi asiatici come l’Indonesia, la Malesia o in alcune regioni dell’India. Abbiamo anche le stime di quanto la pratica copra l'intero sesso femminile: in Paesi come Egitto, Guinea, Sudan, Mali, Somalia, le donne tra i 15-49 anni sottoposte a MGF superano il 90%, in Eritrea e in Etiopia sono tra l’80 e il 90%, in Burkina Faso e in Mauritania sono tra il 70 e l’80%.

Questa pratica è diventata un vero e proprio business, perché le persone che intervengono sulle bambine traggono profitto da ciò, ricavandone un vero e proprio reddito. Nei villaggi solitamente sono donne anziane e autorevoli che si adoperano per questa "pratica". Le condizioni igieniche sono precarie, gli strumenti sono rudimentali, e disinfettanti e anestetici sono naturali. Bisogna anche sapere che più passa il tempo e maggiore è la "medicalizzazione" del rito, ovvero si praticano le MGF all'interno di strutture sanitarie, quindi sono a opera proprio di operatori sanitari.

Questa è una pratica che menoma la funzionalità di parti vitali di una persona, specie minorenni. Non ha alcuna finalità terapeutica, ed è dunque proibita dalle leggi della maggior parte dei Paesi occidentali e africani, oltre che dalla comunità scientifica.

Le ragioni delle mutilazioni genitali femminili sono varie:

1) Socio-culturali. Si crede che soltanto con la rimozione della clitoride una donna possa raggiungere la maturità e divenire a pieno titolo componente della comunità stessa. Le MGF sono considerate anche una forma di controllo della sessualità della donna, che solo privata di una parte dei suoi organi genitali potrà mantenersi vergine e casta. Significa anche “purificare la donna” dei genitali esterni perché, secondo alcune tradizioni, questi hanno effetti negativi sulla sua salute mentale, ma anche sulla vita del proprio marito e dei futuri figli. In questo contesto culturale le MGF aprono alle donne le porte del matrimonio, che in molte comunità comporta anche accesso alla terra e quindi alla sopravvivenza.

2) Igieniche ed estetiche. Le comunità che praticano le MGF associano ai genitali femminili esterni un’idea di bruttezza e di nocività; pensano che se non opportunamente ridotti, i genitali possono continuare a crescere condizionando la vita della donna. La rimozione, più o meno radicale, delle parti esterne rende la donna (secondo la loro visione delle cose) più bella da un punto di vista estetico e più pulita da un punto di vista igienico, un concetto di bellezza cui è associato un significato più profondo di purezza spirituale.

3) Spirituali e religiose. Questo imperativo, per molte comunità, deriva dalla religione e credono che le MGF siano indispensabili per rendere le giovani donne pure spiritualmente. In alcune realtà musulmane si tende a credere che il Corano prescriva tali pratiche, ma ciò non è assolutamente vero. Non risultano tali prescrizioni da alcun testo sacro.

4) Psicologiche e sessuali. Si tende a sostenere la necessità di MGF per prevenire una incontrollata attività sessuale delle giovani donne, dovuta alla crescita eccessiva della clitoride che aumenterebbe il desiderio sessuale. Le MGF sarebbero quindi necessarie per preservare la verginità delle giovani donne che possono così giungere al matrimonio vergini, per tutelare gli uomini e l’intera comunità da una vita sessualmente dissoluta. Si crede inoltre che il restringimento della vagina possa provocare un maggior piacere per l’uomo nel rapporto sessuale, e quindi prevenire l’infedeltà e i divorzi, fonte di disonore per l'uomo che ha contratto matrimonio con l'eventuale donna che tradisce.

Gli organismi internazionali (OMS, Unicef, Unfpa), gli Stati, siano essi occidentali, africani o medio orientali, sono tutti concordi nel ritenere che le MGF rappresentano una grave violazione dell’integrità fisica, psichica e morale delle donne, una grave violazione di uno dei diritti umani fondamentali che è il diritto alla salute.

Diversi studi, oltre la pratica medica quotidiana, hanno dimostrato che le MGF comportano serie conseguenze sulla salute fisica e mentale delle bambine e delle donne, anche per le patologie legate alle complicanze che ne derivano. Tali complicanze dipendono dalla gravità delle mutilazioni, dalle condizioni igieniche in cui sono eseguite, ma anche nelle quali abitualmente vivono le donne, dall’abilità delle persone che eseguono l’intervento. Le MGF, chiamate anche circoncisione femminile, si differenziano dalla circoncisione maschile, praticata e consentita in molti paesi per ragioni religiose e igieniche, perché sono pratiche tradizionali che hanno come effetto la mutilazione irreversibile del corpo delle donne e l’alterazione violenta dell’identità psicofisica, senza alcuna giustificazione nell’interesse della salute. Per questo, a differenza della circoncisione maschile, che non è invalidante, sono proibite.

Per chi vuole approfondire, questo documentario in inglese (di facile comprensione) fa al caso vostro. Questo è invece il video del SISM di quest'anno per ricordare e per far capire attraverso una testimonianza.

copertina-mutilazione-femminile-1.png