*Contiene
spoiler*
Anno
nuovo, nuove recensioni!
Ammetto
che mi mancava proporvi qualcosa che ho avuto modo di leggere; non ho
mai smesso di scrivere recensioni, ma quello che stava venendo a
mancare era il mio mordente, derivato dal fatto che spesso non mi si
prende sul serio, non mi si presta attenzione e chiunque tranne me
sia capace in quello che faccio con più passione.
Sì,
mi sono demoralizzata perché il mio obiettivo è quello di parlare
di ciò che più amo e di essere ascoltata, e in questo i lettori
fantasmi non aiutano, dato che amo i confronti costruttivi, gli
scambi di vedute, e non le offese gratuite.
Fatto
sta che ho deciso di fregarmene perché finalmente mi sono resa conto
del mio valore come persona – in ogni ambito, compreso questo – e
quindi di continuare sulla scia di un rinnovato entusiasmo.
Dato
che si tratta di una passione e non di un lavoro, non avrò scadenze
fisse, ma non appena avrò del tempo – in base anche a come sono
ispirata – le rubriche saranno rimpolpate.
Dopo
aver detto quello che sentivo di dire, partiamo con la prima
recensione dell'anno, ossia con Cosmétique de l'ennemi,
in italiano Cosmetica del nemico,
di Amélie Nothomb.
Non so se l'ho mai detto, ma
parlo più lingue e se ho l'occasione di leggere in lingua originale
non me la faccio scappare di certo! Questo mi porta anche ad avere a
che fare col libro vero e proprio, senza traduzioni che possono
migliorare o peggiorare (alle volte accade) il libro. Proprio come in
questo caso, l'ho trovato in francese.
C'è uno spoiler;
ho cercato di non inserirne, però poi non potevo spiegare bene delle
cose e spero sia il più leggero possibile nei toni. Posso però dire
che secondo me già leggendo la trama in due righe quello che può
essere visto come spoiler si capisce benissimo da sé, perché io per
prima quando ho scoperto tutto non mi sono molto stupita.
Avvicinatevi a vostro rischio e
pericolo, se volete.
L'autrice:
Amélie Nothomb, nata a Kōbe
nel 1967, è una scrittrice
belga di
romanzi, novelle e per il teatro.
Ha
viaggiato e vissuto in vari Paesi del mondo per
via del mestiere del padre (ambasciatore). Alcune vicende particolari
della sua vita come il senso di straniamento e di difficile
integrazione come persona negli Stati in cui andava a vivere, le
vessazioni in campo lavorativo che ha vissuto a Tokyo dopo la laurea,
oppure
il fatto di aver sofferto di anoressia hanno molto influenzato i
suoi testi,
al punto di averne parlato in opere come Stupori
e tremori
e Biografia della
fame.
Il
suo primo libro, che le diede anche fama e riconoscimento, è Igiene
dell'assassino.
Da
lì segue poi una vasta produzione letteraria; in
Italia i suoi libri sono tradotti e pubblicati dalla casa editrice
Voland. Cosmetica
del nemico è
il suo decimo romanzo.
La
trama:
siamo
in un aeroporto francese. Tutto ciò che accade in poche ore in
questo luogo è il punto centrale di tutta la vicenda. Il signor
Jérôme
Angust
è in sala d'attesa a causa di un ritardo del suo volo; sta leggendo
un libro, fino a quando non gli si avvicina un uomo, un olandese che
dice di chiamarsi Textor Textel, che inizia a parlargli della
sua vita,
disturbandolo.
Ne
consegue un dialogo basato sull'alternarsi delle battute dei due
personaggi, ma più continuano a parlare, più il grande incubo di
Angust prende forma e vita grazie
alle incessanti parole
di Textel e da lì tutto cambia, portandoci
a scoprire una realtà diversa da quella che ci era presentata con
dei risvolti imprevisti..
Il consiglio musicale:
ritengo
che il brano che possa riassumere tutto sia Nightmare
degli Avenged Sevenfold. Lo
trovo perfettamente calzante, per quanto il ritmo della canzone sia
marcato, deciso, a dir poco urgente e rapido, rispetto a quello della
narrazione, ma già il verso “now
your nightmare comes to life”
è molto eloquente, come
anche “you
should have known the price of evil”.
Vi
allego anche il testo
della canzone, se l'ascoltate con le parole a portata di mano
potrebbe darvi molto di più.
La
recensione:
questo è il mio primo approccio alla Nothomb. Sapevo per sentito
dire che è molto particolare, che o piace o non piace, ma
constatarlo di persona è sempre diverso.
Sono
incappata in un libro davvero
bizzarro e
credo sia proprio il termine giusto, perché sebbene molte cose non
mi siano andate a genio, ho il desiderio di voler leggere altro di
questa scrittrice al più presto (e qui ringrazio la biblioteca
provinciale che è fornita).
La
vicenda ci viene presentata direttamente, in
medias res,
e a parte un brevissimo incipit, siamo
subito in questo
aeroporto,
di
cui non sappiamo la collocazione,
e
successivamente abbiamo
il
continuo susseguirsi di botte e risposte da parte dei due
interlocutori.
Nessun intermezzo di prosa,
nulla, a parte ciò che viene detto a fine battuta per dare qualche
connotato in più al di là delle parole dette in dialogo o i
pensieri dei due protagonisti che sono tra virgolette.
Mi hanno molto ricordato Ale e
Franz, perché se Textel ha tanta voglia di chiacchierare, di parlare
di sé e della sua vita, Anguste non ha proprio nessuna intenzione di
stare ad ascoltare ciò che gli viene detto, tutt'altro.
Immaginate
la scena: due uomini – di cui uno ha un libro, proprio come Ale
legge il giornale –, seduti in una sala d'aspetto – la panchina
dei due comici – e il loro interagire ben definito.
Un uomo che parla a ruota libera
e l'altro, scocciato, che ascolta, quando non vorrebbe proprio farlo.
Lo scambio di battute è anche
molto simil-Zelig, si tende ad andare molto sul demenziale e spesso
si poteva evitare dato che non solo risulta dispersivo, ma, per
quanto dei personaggi possano essere sarcastici, Anguste e Textel
danno proprio l'idea di essere troppo carichi
di sarcasmo, al limite dell'irreale. È come se incarnassero delle
caratteristiche ben definite che solitamente vengono dati ai
personaggi teatrali o proprio a quelli comici di cabaret che
sottolineano tic particolari delle persone.
Ho comunque apprezzato il
politicamente scorretto degli
stessi nel loro parlare.
I dialoghi sommano in loro il
macabro, il bizzarro, l'assurdo, l'eccentrico, come il citare più di
una volta il chiosco degli hot-dog del Boulevard de Ménilmontant
vicino al cimitero di Père Lachaise a Parigi (da notare il contrasto
della penuria di dettagli della vicenda nel presente, ma la ricchezza
al contrario nelle vicende del passato di Textel), ma non per questo
sono lineari.
Appaiono contorti, per quanto il
linguaggio della scrittrice in questo romanzo sia molto chiaro, non
utilizza parole di difficile comprensione, tutt'altro. Parole molto
semplici in una prosa che diventa complicata, ma che è mirata, è
intrisa di uno scopo ben preciso.
Lo stile con un linguaggio che
riprende molto bene le espressioni colloquiali (per esempio les
flics ovvero i poliziotti in gergo) diventa dunque tagliente,
perché ci si ritrova faccia a faccia con la propria nemesi, che
diventa la nostra stessa coscienza, che ci segue come un'ombra.
Ognuno di noi, per quanto possa
tendere al bene o essere buono (persino un paladino!) ha dentro di sé
un demone, spesso sconosciuto, ma che si rivela essere il nostro
peggior nemico.
Aspetta lì, approfittando di un
nostro momento di tentennamento nella mente e nel cuore per
fuoriuscire.
La voce dell'interlocutore, così
pressante, addirittura noiosa, per Anguste è la voce di ciò che si
vuol mettere a tacere, perché non la si vuole ascoltare.
È la voce che ti irrita, che ti
rende aggressivo, dato che non si vuol sentire la verità
schiacciante della tua coscienza, così dura da accettarla, al punto
da sopprimerla nei meandri più infimi e oscuri dell'animo, sperando
di dimenticarla una volta per tutte.
E da qui ci si può chiedere: il
tutto non sa di già visto? Non sembra anche a voi che la trama sia
davvero poco originale?
Effettivamente sì, l'idea di
parlare con la propria nemesi è già stata sviluppata in passato,
eppure questo libro, nella sua brevità, con tutto il suo essere
sopra le righe, riesce a mettere a nudo l'animo umano.
Ecco anche il motivo per cui lo
spoiler per me non è tale, come avevo detto in precedenza.
Già il titolo parla molto
chiaramente riguardo a tutto questo: si utilizza la semantica della
parola cosmetica e ogni piccolo dettaglio diventa più chiaro.
Textel afferma: «La cosmetica
è la scienza dell’ordine universale, la morale suprema che
determina il mondo. […] Non è colpa mia se gli estetisti hanno
recuperato questa parola ammirevole» e il suo stesso nome parla
per lui. Nella sua ridondanza, “egli” è proprio una texture
di testi, una voce dotata di parola che spesso non parla, una
coscienza a lungo repressa.
I nomi parlanti, che danno un
connotato più incisivo alla personalità dei personaggi è un
qualcosa che ho sempre apprezzato, perché mi permette di andare al
di là del testo per cogliere qualcosa di più.
Allo stesso modo Jérôme
Angust ha un
suono duro nella pronuncia, specie a ridosso della r
da arrotolare sulla lingua, pronta a sottolineare l'aggressività del
suo rivolgersi a Textor, dotato di una cattiveria nei modi e anche
nell'animo, a partire dalla sua giovane età.
Quando ci
viene narrato che un Angust bambino aveva augurato la morte a un suo
compagno di classe perché era lodato e benvoluto a differenza sua e
poi scopre il giorno dopo che questo bambino era morto per davvero ha
sì dei sensi di colpa, ma vengono subito sopiti, e
col tempo questo rimorso non ci sarà mai più.
Una domanda
postami a caldo dopo la lettura, legata a questo episodio appena
descritto, è stata: Textor
ha narrato a Jérôme
un aneddoto che, per quanto abbia nascosto
nella sua anima, gli è noto, perché lo ha
vissuto proprio lui; come ha fatto
dunque a non capire subito chi fosse Textel? Ci doveva arrivare così
tardi altrimenti la storia non ingranava e sarebbe finita subito?
Questa è la
mia interpretazione.
Si intrecciano
i temi della morte, della fede, della famiglia, dell'amore, la
concezione della donna del personaggio e... anche se non è descritta
nei dettagli è presente una scena di stupro, quindi se la vostra
sensibilità può essere disturbata anche solo dall'accenno, vi
consiglio di non leggere questo libro.
La concezione
dell'amare tanto, troppo, al punto da voler uccidere chi si ama mi ha
molto urtata, devo riconoscerlo. È una di quelle scuse che non
riesco ad accettare nemmeno in un libro.
Il ritmo della
narrazione, riprendendo l'involuzione delle
parole pur essendo molto semplici, mi ha ricordato – ed è una
coincidenza bizzarra – Il favoloso
mondo di Amélie, un film molto lento,
in cui il tempo si dilata e che pare ancora più lungo e largo
(l'intero romanzo è ambientato in un arco temporale di poche ore,
eppure sembrano passati giorni interi e le vicende narrate da Textel
nel corso degli anni sembrano proprio avere
il peso degli stessi anni trascorsi).
Textor sa
essere molto provocatorio, appare calmo e misurato nel suo parlare,
volto a gettare esche su Jérôme
che invece si indigna alle confessioni di questo “signore”.
Il contrasto
del tono utilizzato da ciascuno nel dialogare rende molto bene l'idea
dell'alienazione e del disconoscimento da se stessi.
Creare
un'altra persona nella propria testa, e
convincendosi per davvero che tutto ciò che è stato compiuto da noi
è stato invece perpetrato da un estraneo ha fomentato la studentessa
di medicina che è in me.
Che si tratti di qualcuno che
soffra di sindrome bipolare?
L'ho pensato davvero e non mi
spiacerebbe se si potesse leggere anche in questa ottica.
E no, non sto parlando della
sindrome bipolare che pensano di avere le tumblerine disagiate senza
che conoscano segni e sintomi effettivi, ma quella vera, con tanto di
allucinazioni.
In conclusione, per quanto alcune
cose siano esagerate – e per quanto una mi abbia fatto bestemmiare,
immaginate quale – trovo sia una lettura interessante, non eccelsa,
ma con delle caratteristiche intriganti, al punto da prendere
prossimamente Igiene dell'assassino.
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