lunedì 4 gennaio 2016

"Cosmétique de l'ennemi", recensione libro.

*Contiene spoiler*

Anno nuovo, nuove recensioni!

Ammetto che mi mancava proporvi qualcosa che ho avuto modo di leggere; non ho mai smesso di scrivere recensioni, ma quello che stava venendo a mancare era il mio mordente, derivato dal fatto che spesso non mi si prende sul serio, non mi si presta attenzione e chiunque tranne me sia capace in quello che faccio con più passione.
Sì, mi sono demoralizzata perché il mio obiettivo è quello di parlare di ciò che più amo e di essere ascoltata, e in questo i lettori fantasmi non aiutano, dato che amo i confronti costruttivi, gli scambi di vedute, e non le offese gratuite.

Fatto sta che ho deciso di fregarmene perché finalmente mi sono resa conto del mio valore come persona – in ogni ambito, compreso questo – e quindi di continuare sulla scia di un rinnovato entusiasmo.
Dato che si tratta di una passione e non di un lavoro, non avrò scadenze fisse, ma non appena avrò del tempo – in base anche a come sono ispirata – le rubriche saranno rimpolpate.

Dopo aver detto quello che sentivo di dire, partiamo con la prima recensione dell'anno, ossia con Cosmétique de l'ennemi, in italiano Cosmetica del nemico, di Amélie Nothomb.

Non so se l'ho mai detto, ma parlo più lingue e se ho l'occasione di leggere in lingua originale non me la faccio scappare di certo! Questo mi porta anche ad avere a che fare col libro vero e proprio, senza traduzioni che possono migliorare o peggiorare (alle volte accade) il libro. Proprio come in questo caso, l'ho trovato in francese.
C'è uno spoiler; ho cercato di non inserirne, però poi non potevo spiegare bene delle cose e spero sia il più leggero possibile nei toni. Posso però dire che secondo me già leggendo la trama in due righe quello che può essere visto come spoiler si capisce benissimo da sé, perché io per prima quando ho scoperto tutto non mi sono molto stupita.
Avvicinatevi a vostro rischio e pericolo, se volete.


L'autrice: Amélie Nothomb, nata a Kōbe nel 1967, è una scrittrice belga di romanzi, novelle e per il teatro.
Ha viaggiato e vissuto in vari Paesi del mondo per via del mestiere del padre (ambasciatore). Alcune vicende particolari della sua vita come il senso di straniamento e di difficile integrazione come persona negli Stati in cui andava a vivere, le vessazioni in campo lavorativo che ha vissuto a Tokyo dopo la laurea, oppure il fatto di aver sofferto di anoressia hanno molto influenzato i suoi testi, al punto di averne parlato in opere come Stupori e tremori e Biografia della fame.
Il suo primo libro, che le diede anche fama e riconoscimento, è Igiene dell'assassino.
Da lì segue poi una vasta produzione letteraria; in Italia i suoi libri sono tradotti e pubblicati dalla casa editrice Voland. Cosmetica del nemico è il suo decimo romanzo.

La trama: siamo in un aeroporto francese. Tutto ciò che accade in poche ore in questo luogo è il punto centrale di tutta la vicenda. Il signor Jérôme Angust è in sala d'attesa a causa di un ritardo del suo volo; sta leggendo un libro, fino a quando non gli si avvicina un uomo, un olandese che dice di chiamarsi Textor Textel, che inizia a parlargli della sua vita, disturbandolo.
Ne consegue un dialogo basato sull'alternarsi delle battute dei due personaggi, ma più continuano a parlare, più il grande incubo di Angust prende forma e vita grazie alle incessanti parole di Textel e da lì tutto cambia, portandoci a scoprire una realtà diversa da quella che ci era presentata con dei risvolti imprevisti..

Il consiglio musicale: ritengo che il brano che possa riassumere tutto sia Nightmare degli Avenged Sevenfold. Lo trovo perfettamente calzante, per quanto il ritmo della canzone sia marcato, deciso, a dir poco urgente e rapido, rispetto a quello della narrazione, ma già il verso “now your nightmare comes to life è molto eloquente, come anche “you should have known the price of evil”. Vi allego anche il testo della canzone, se l'ascoltate con le parole a portata di mano potrebbe darvi molto di più.

La recensione: questo è il mio primo approccio alla Nothomb. Sapevo per sentito dire che è molto particolare, che o piace o non piace, ma constatarlo di persona è sempre diverso.

Sono incappata in un libro davvero bizzarro e credo sia proprio il termine giusto, perché sebbene molte cose non mi siano andate a genio, ho il desiderio di voler leggere altro di questa scrittrice al più presto (e qui ringrazio la biblioteca provinciale che è fornita).

La vicenda ci viene presentata direttamente, in medias res, e a parte un brevissimo incipit, siamo subito in questo aeroporto, di cui non sappiamo la collocazione, e successivamente abbiamo il continuo susseguirsi di botte e risposte da parte dei due interlocutori.
Nessun intermezzo di prosa, nulla, a parte ciò che viene detto a fine battuta per dare qualche connotato in più al di là delle parole dette in dialogo o i pensieri dei due protagonisti che sono tra virgolette.

Mi hanno molto ricordato Ale e Franz, perché se Textel ha tanta voglia di chiacchierare, di parlare di sé e della sua vita, Anguste non ha proprio nessuna intenzione di stare ad ascoltare ciò che gli viene detto, tutt'altro.
Immaginate la scena: due uomini – di cui uno ha un libro, proprio come Ale legge il giornale –, seduti in una sala d'aspetto – la panchina dei due comici – e il loro interagire ben definito.
Un uomo che parla a ruota libera e l'altro, scocciato, che ascolta, quando non vorrebbe proprio farlo.

Lo scambio di battute è anche molto simil-Zelig, si tende ad andare molto sul demenziale e spesso si poteva evitare dato che non solo risulta dispersivo, ma, per quanto dei personaggi possano essere sarcastici, Anguste e Textel danno proprio l'idea di essere troppo carichi di sarcasmo, al limite dell'irreale. È come se incarnassero delle caratteristiche ben definite che solitamente vengono dati ai personaggi teatrali o proprio a quelli comici di cabaret che sottolineano tic particolari delle persone.

Ho comunque apprezzato il politicamente scorretto degli stessi nel loro parlare.

I dialoghi sommano in loro il macabro, il bizzarro, l'assurdo, l'eccentrico, come il citare più di una volta il chiosco degli hot-dog del Boulevard de Ménilmontant vicino al cimitero di Père Lachaise a Parigi (da notare il contrasto della penuria di dettagli della vicenda nel presente, ma la ricchezza al contrario nelle vicende del passato di Textel), ma non per questo sono lineari.
Appaiono contorti, per quanto il linguaggio della scrittrice in questo romanzo sia molto chiaro, non utilizza parole di difficile comprensione, tutt'altro. Parole molto semplici in una prosa che diventa complicata, ma che è mirata, è intrisa di uno scopo ben preciso.

Lo stile con un linguaggio che riprende molto bene le espressioni colloquiali (per esempio les flics ovvero i poliziotti in gergo) diventa dunque tagliente, perché ci si ritrova faccia a faccia con la propria nemesi, che diventa la nostra stessa coscienza, che ci segue come un'ombra.

Ognuno di noi, per quanto possa tendere al bene o essere buono (persino un paladino!) ha dentro di sé un demone, spesso sconosciuto, ma che si rivela essere il nostro peggior nemico.
Aspetta lì, approfittando di un nostro momento di tentennamento nella mente e nel cuore per fuoriuscire.

La voce dell'interlocutore, così pressante, addirittura noiosa, per Anguste è la voce di ciò che si vuol mettere a tacere, perché non la si vuole ascoltare.
È la voce che ti irrita, che ti rende aggressivo, dato che non si vuol sentire la verità schiacciante della tua coscienza, così dura da accettarla, al punto da sopprimerla nei meandri più infimi e oscuri dell'animo, sperando di dimenticarla una volta per tutte.

E da qui ci si può chiedere: il tutto non sa di già visto? Non sembra anche a voi che la trama sia davvero poco originale?
Effettivamente sì, l'idea di parlare con la propria nemesi è già stata sviluppata in passato, eppure questo libro, nella sua brevità, con tutto il suo essere sopra le righe, riesce a mettere a nudo l'animo umano.
Ecco anche il motivo per cui lo spoiler per me non è tale, come avevo detto in precedenza.

Già il titolo parla molto chiaramente riguardo a tutto questo: si utilizza la semantica della parola cosmetica e ogni piccolo dettaglio diventa più chiaro.

Textel afferma: «La cosmetica è la scienza dell’ordine universale, la morale suprema che determina il mondo. […] Non è colpa mia se gli estetisti hanno recuperato questa parola ammirevole» e il suo stesso nome parla per lui. Nella sua ridondanza, “egli” è proprio una texture di testi, una voce dotata di parola che spesso non parla, una coscienza a lungo repressa.
I nomi parlanti, che danno un connotato più incisivo alla personalità dei personaggi è un qualcosa che ho sempre apprezzato, perché mi permette di andare al di là del testo per cogliere qualcosa di più.
Allo stesso modo Jérôme Angust ha un suono duro nella pronuncia, specie a ridosso della r da arrotolare sulla lingua, pronta a sottolineare l'aggressività del suo rivolgersi a Textor, dotato di una cattiveria nei modi e anche nell'animo, a partire dalla sua giovane età.

Quando ci viene narrato che un Angust bambino aveva augurato la morte a un suo compagno di classe perché era lodato e benvoluto a differenza sua e poi scopre il giorno dopo che questo bambino era morto per davvero ha sì dei sensi di colpa, ma vengono subito sopiti, e col tempo questo rimorso non ci sarà mai più.

Una domanda postami a caldo dopo la lettura, legata a questo episodio appena descritto, è stata: Textor ha narrato a Jérôme un aneddoto che, per quanto abbia nascosto nella sua anima, gli è noto, perché lo ha vissuto proprio lui; come ha fatto dunque a non capire subito chi fosse Textel? Ci doveva arrivare così tardi altrimenti la storia non ingranava e sarebbe finita subito?
Questa è la mia interpretazione.

Si intrecciano i temi della morte, della fede, della famiglia, dell'amore, la concezione della donna del personaggio e... anche se non è descritta nei dettagli è presente una scena di stupro, quindi se la vostra sensibilità può essere disturbata anche solo dall'accenno, vi consiglio di non leggere questo libro.

La concezione dell'amare tanto, troppo, al punto da voler uccidere chi si ama mi ha molto urtata, devo riconoscerlo. È una di quelle scuse che non riesco ad accettare nemmeno in un libro.

Il ritmo della narrazione, riprendendo l'involuzione delle parole pur essendo molto semplici, mi ha ricordato – ed è una coincidenza bizzarra – Il favoloso mondo di Amélie, un film molto lento, in cui il tempo si dilata e che pare ancora più lungo e largo (l'intero romanzo è ambientato in un arco temporale di poche ore, eppure sembrano passati giorni interi e le vicende narrate da Textel nel corso degli anni sembrano proprio avere il peso degli stessi anni trascorsi).

Textor sa essere molto provocatorio, appare calmo e misurato nel suo parlare, volto a gettare esche su Jérôme che invece si indigna alle confessioni di questo “signore”.
Il contrasto del tono utilizzato da ciascuno nel dialogare rende molto bene l'idea dell'alienazione e del disconoscimento da se stessi.
Creare un'altra persona nella propria testa, e convincendosi per davvero che tutto ciò che è stato compiuto da noi è stato invece perpetrato da un estraneo ha fomentato la studentessa di medicina che è in me.
Che si tratti di qualcuno che soffra di sindrome bipolare?
L'ho pensato davvero e non mi spiacerebbe se si potesse leggere anche in questa ottica.
E no, non sto parlando della sindrome bipolare che pensano di avere le tumblerine disagiate senza che conoscano segni e sintomi effettivi, ma quella vera, con tanto di allucinazioni.

In conclusione, per quanto alcune cose siano esagerate – e per quanto una mi abbia fatto bestemmiare, immaginate quale – trovo sia una lettura interessante, non eccelsa, ma con delle caratteristiche intriganti, al punto da prendere prossimamente Igiene dell'assassino.

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