giovedì 2 luglio 2015

Recensione: Il cacciatore di Draghi, di J. R. R. Tolkien

Avevo girato il video di questa recensione, ma il file si è danneggiato e al momento non posso registrare, quindi ho pensato di metterla qui, su "carta"; d'altronde ho un blog (di merda, a quanto dicono alle spalle), ma pur sempre blog è, quindi perché non darmi da fare?

La recensione sarà come quelle a video, quindi segue la scaletta: autore, trama, recensione e consiglio musicale.

Il libro di cui vi parlo è Il cacciatore di draghi, edito da Bompiani e consta di 160 pagine. Le illustrazioni sono di Pauline Baynes e conto di mostrarvene alcune. Per l'edizione del cinquantenario di questo libro l'illustratrice ha anche rappresentato la mappa di Ham.



Autore: se non sapete chi è Tolkien siete delle brutte persone, sappiatelo, quindi non dirò nulla su di lui, perché penso che qualcosina di lui la si sappia per forza, al di là se piaccia o meno come scrittore.

Trama: Aegidius Ahenobarbus Julius Agricola de Hammo (Daenerys dai mille nomi, ritirati in buon ordine ché non hai un nome così "classicheggiante"), in lingua volgare Giles di Ham, è un umile uomo dedito alla vita di campagna (una vita semplice, ma a lui congeniale) che, per uno strano volere del destino si ritrova a essere suo malgrado l'eroe del suo piccolo villaggio per ben due volte, prima affrontando un gigante e poi contro un drago; sebbene costretto dalle circostanze alla fine riesce anche a diventare re.
Non è uno spoiler a mio dire pesante, lo dice anche la seconda di copertina, quindi anche se prendete il libro tra le mani sapete subito di cosa parla.

Recensione: questa storia non appartiene al filone tolkeniano delle avventure ambientate nel mondo di Arda, ma se ne distacca totalmente sebbene per i lettori del Professore alcuni rimandi e allusioni possano risultare lampanti; io per prima ne ho fatti e ve ne parlerò.
La storia di Giles nacque come un racconto che Tolkien narrò ai suoi figli (la stessa cosa fu per un'altra sua storia, Roverandom) e l'edizione aggiornata (quella che ha la copertina che ho messo su, la stessa che io possiedo) presenta a fine racconto anche la prima stesura, grazie alla quale si possono notare sostanziali differenze con la versione definitiva, che è diventata da adulti, come lo scrittore stesso ha affermato.
Vi è anche l'inizio di un ipotetico prosieguo con protagonista il figlio di Giles, ma sono solo poche pagine; Tolkien non ha mai ultimato il progetto.

A tal proposito, come si legge nell'introduzione, l'editore a cui Tolkien sottopose lo scritto lo fece leggere al figlio, che ne fu entusiasta e a me ha sinceramente ricordato Herbert, il figlio del signore a cui Rudy presenta i suoi videogiochi nel film de La carica dei 101.

Ammetto di aver letto prima la versione originale (che è subito dopo quella definitiva) e poi quella per il pubblico adulto. Sono strana, ma ammetto anche questo.
Oltre al tono più da adulti, nella versione definitiva il narratore non si intromette più nella storia, cosa fatta invece nel racconto per i figli, la personalità dei personaggi che prima era semplice poi è stata approfondita, le descrizioni sono state ampliate (quella del gigante che calpesta l'olmo è molto vivida) e poi si ha la prefazione.

Ecco, per la prefazione io farei una piccola parentesi perché merita di esser citata, in quanto a mio dire mostra un lato di Tolkien particolare.
Qui traspare l'intento satirico/umoristico dell'autore.
Tolkien, usando uno stratagemma narrativo, si finge traduttore e curatore di un testo antico che dice di aver trovato, la storia di Giles, e usa la prefazione, che riprende la Historia Regum Britanniae al contrario (anche Goffredo di Monmouth affermò di non essere l'autore della sua opera e di averla trovata, ma se lui disse di voler tradurre in latino una storia molto antica scritta in lingua britanna, Tolkien afferma che il racconto di Giles è in latino e lui desidera tradurla nella lingua moderna del Regno Unito) e in modo diretto perché fa mirati riferimenti, per... burlarsi di quei critici che pensavano al Beowulf solo come documento storico e non come poema che ha piena dignità e meriti letterari.
Tolkien era del secondo avviso.
Infatti nella prefazione di Farmer Giles, il "curatore" afferma sarcasticamente che i lettori della storia che si appresta a tradurre dal latino potrebbero perfino interessarsi al carattere e alle avventure dell'eroe (per citare direttamente) laddove lui invece si era dato molto da fare per dare l'esatta collocazione storica e geografica al racconto.
Ed ecco la presa in giro, e io penso sia divertentissima come cosa. Perché accapigliarsi se si può usare l'ironia e il sarcasmo per affermare il tuo parere se gli altri non la pensano come te e ritengono di aver obbligatoriamente ragione?
Adoro l'ironia di Tolkien: non scende mai nell'offesa, ma fa capire in modo allusivo, e trovo che questo tipo di ironia molto sottile sia molto difficile da rendere sia nello scritto sia nel quotidiano, come persona.

Ci sono molti riferimenti alla storia medioevale, al latino, alla mitologia norrena, ecc. e le note a fine racconto sono molto chiare, esaustive e al contempo semplici.
Non sono però numerate, e questo può essere un bene per chi non ama esser disturbato nella lettura e un male per chi come me preferisce leggerle subito e sapere nell'immediato il rimando se non lo si coglie da soli.
Ma non si può accontentare tutti ed è giusto così.
Ho notato dei piccoli refusi nel numero delle pagine a cui le note fanno riferimento e spero che nella prossima ristampa sistemino questa cosa.

Vengono adoperati degli anacronismi linguistici e di costume (schioppo, patto di non aggressione, lo sconto da applicare a chi paga in contanti) volti a far ridere; la storia è scritta con un tono vivace e narrata con intelligenza e arguzia, il tono è spiritoso.

Sono presenti vari connotati ben miscelati: il fiabesco, nessuna precisa coordinata spazio-temporale (a parte il nome del villaggio), elementi del quotidiano come per esempio i personaggi che hanno le loro rivalità al punto tale da leggere delle loro scaramucce, e Giles e il mugnaio si "scornano" sempre facendo battutine e il riso c'è, fanno ridere.
Sembrano davvero dei popolani che potresti incontrare, sebbene la narrazione sia breve, la caratterizzazione dei personaggi è presente.
Inoltre ti sembra di essere proprio in un piccolo villaggio medioevale perché ci sono dei piccoli, ma importanti dettagli che lo fanno capire come ad esempio lo scandire il tempo usando le festività o parlare dei giorni del mercato.

I nomi sono parlanti, anche con chiari intenti parodici oppure mirati a sottolineare la data caratteristica dei personaggi. Facciamo alcuni esempi.
Abbiamo Giles che ha più nomi, il che ricorda il sistema onomastico romano con tanto di epiteto (Ahenobarbus: dalla barba rossa) e tutti quei nomi, per un popolano, sono superflui perché tutti lo chiamano (e lo chiamerà anche il "curatore") sempre e solo Giles, usando quindi un nome inglese tradizionale e generico per i fattori, un po' come il classico Mario Rossi, per intendersi.
A che pro dare tanti nomi a una persona semplice che tutti chiamano Giles? Semplicemente per far ridere per mezzo dell'iperbole.

 Giles che prepara lo schioppo contro il gigante

Garm, il cane di Giles, è un'allusione al Garmr della mitologia norrena che fa la guardia ai cancelli di Hel e invece questo cane è un pigrone e spaccone che pensa prima a salvare se stesso che non il suo padrone, si procede per contrasto. E poi il suo nome deriva dal gallese "garm" che può significare "rimproverare, vociare rumorosamente", cosa che Garm fa fin troppo.

Garm pronto alla fuga


Chrysophilax Dives, il drago, unisce greco e latino: krysos (oro) e phylax (custode) dal greco e dives (ricco) dal latino.
Con un nome si è definito un drago usando i topoi degli stessi: un accumulatore di ricchezze, che possiede un tesoro ed è dunque ricco (oltre che tirchio).
Per un'amante dell'etimologia e dei significati nascosti come me questo è il paradiso.

Non ha bisogno di presentazioni


Già dai nomi e dalla loro etimologia si può notare un pluriregistro a seconda del personaggio, il re utilizza un linguaggio più altisonante così come il contadino ne usa uno più basso e questo conferisce realismo alla narrazione oltre che a farti scappare un risolino, o anche più di uno.

La parodia si rileva ancora nella vicenda in generale come per esempio nel vedere il fabbro menagramo che getta sentenze sulle persone o con il parroco veggente o ancora con la "vestizione" di Giles quando indossa la sua "armatura" improvvisata; a differenza dei cavalieri nella loro armatura scintillante, lui è goffo, fuori luogo e non puoi non ridere perché sembra proprio che tu abbia la scena davanti a te e Benny Hill ne combina una delle sue.


Giles nella sua armatura improvvisata

I giochi di parole, i doppi sensi, i proverbi adattati per la storia sono particolari ed efficaci e nella traduzione italiana permette di apprezzare le battute.
Tolkien non è mai volgare, non usa mai parole triviali e, per quanto io amo tutti i generi di umorismo e comicità, il suo lo apprezzo tantissimo perché insegna che non è necessario usare sempre e comunque allusioni volgari per far ridere; è una cosa che i grandi sanno fare anche senza.
E lui è un grande.

Come dicevo già prima, per quanto questo non sia un libro ambientato nella Terra di Mezzo ci sono alcuni piccoli rimandi, a partire da Giles stesso, che ricorda Bilbo: una persona tranquilla, che ama la sua terra e non desidera cacciarsi in avventure, godendo della calma del suo focolare domestico.
Anche qui abbiamo una spada che ha un nome ed è dotata di poteri magici, Mordicoda.
E, cosa che a me ha fatto ridere perché mi è venuta in mente la scenetta e cretina ridevo da sola è la definizione di "gente strana" che compare nella storia di Giles; ricorda proprio il vecchio Maggot che dice a Frodo che fuori dalla Contea c'è gente strana e non deve averci a che fare.

Cosa posso dire? Consigliatissimo, sia ai già amanti del Professore sia a chi non si è mai approcciato a lui perché spaventato dalla "mole" o dalla sua "pesantezza" (come spesso si dice) dei suoi libri più noti.
Potrei dire che, per chi non ha ancora provato a conoscere Tolkien, questo libro potrebbe essere il primo con cui iniziare. 
Si legge particolarmente bene, è scorrevole e non è un fantasy propriamente detto, quindi ai non amanti del genere potrebbe far piacere una parodia in chiave fantasy.


Il consiglio musicale per questo libro è Giorgio Mastrota. Per una storia ironica e simpatica non c'è nulla di meglio di una canzone dagli stessi toni, chiaramente parodica.
E poi il cavalier custode dell'acciaio inox ha una bella armatura come Giles!

2 commenti:

  1. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  2. Nemmeno io so da dove spunti questo account ma visto che non ho voglia di cambiarlo lo userò lo stesso per commentare xd

    Esordisco riconoscendo che il consiglio musicale su Mastrota "cavalier custode dell'acciaio inox" è stata davvero la ciliegina sulla torta, hai scritto una recensione molto piacevole e concisa. Ho perso l'ultimo neurone sano per il caldo, o l'espediente narrativo della "traduzione di un testo antico" è stato usato da Manzoni nei Promessi Sposi? È stata la prima lampadina che mi si è accesa leggendo questa pagina del blog, assieme ad un'altra inerente quella che considero la mia prima vera esperienza di scrittura creativa, un racconto breve (che ho ahimè perduto) umoristico (meglio definirlo proprio demens, in verità) dei tempi delle superiori, una "zuppa" un po' incoerente che avevo reso comica proprio con l'uso di continue iperboli su di uno sfondo molto semplice.
    Spero non sia stata troppo approssimativo come primo commento sul tuo bel blog, saluti ed alla prossima!

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